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Giuseppe CesareAbba

 

DaQuarto al Volturno

 

Noterelle di unodei Mille

 

 

[ALLAVIGILIA DELLA «GRANDE IMPRESA»]

 

Parma3maggio 1860. Notte.

 

Leciance saranno finite. Se ne intesero tante che parevano persino accuse. - TuttaSicilia è in armi; il Piemonte non si può muovere; ma Garibaldi? - Trentamilainsorti accerchiano Palermo: non aspettano che un capoLui! Ed egli se ne stachiuso in Caprera? - Noè in Genova. - E allora perché non parte? - Ma Nizzaceduta? dicevano alcuni. E altri più generosi: - Che Nizza? Partirà col cuoreafflittoma Garibaldi non lascierà la Sicilia senza aiuto.

Ipiù generosi hanno indovinato. Garibaldi partiràed io sarò nel numero deifortunati che lo seguiranno.

Pocofaparlavo di quest'impresa coll'avvocato Petitbon. Egli che l'anno scorsonella caserma dei cavalleggieri d'Aostapregava con noi che nascesse larivoluzione nel Pontificio o nel Napoletanodacché Villafranca aveva troncatala guerra in Lombardianon potrà venire con noie si affligge. Ha la madreammalata. Ci lasciammo colla promessa di rivederci domanie se ne andò lento escoratoper via dei Genovesi. Mentre io stavo a guardarlomi venivano dilontanoper la notterumori d'ascie e di martelli. E li odo ancora. Ma icittadini non si lagneranno della molestiaperché la fretta è molta. Silavora anche di notte a piantare abetellea formar palchia curvar architrionfaliper la venuta di re Vittorio. Verrà dunque il Re desiderato fraquesto popolocheora sei annivide cadere Carlo terzo ducapugnalato inmezzo alla via. Io era allora scolaro di quattordici annie ricordo il raccontoche dell'orribile caso ci fece il padre maestro Scolopio. Frate rarobiasimaval'uccisore ma non lodava l'ucciso.

CheCarlo terzo fosse quel ducacheprima del quarantottofu in Piemonteufficiale di cavalleria? Se fuvi lasciò tristo nome. Intesi narrare che unanottein Torinodue ufficiali burlonidi gran casatoamici suoiloaffrontarono per celia. Pare che ne restasse così atterritoche i duedovettero palesarsitanto che non morisse dalla paura. E allora egli minacciòche guai a lorose un dì fossero capitati a passare per i suoi Stati. - Semairispose uno dei duepianteremo gli sproni ne' fianchi ai cavalliesalteremo di là da' tuoi Stati senza toccarli. - Povero Duca! Ora ne' suoiStati viene Vittorio. Gran fortunato questo Principe! Chi vuol fare qualcosa perla patriasia pure non amico di redeve contentarsi di dar gloria a lui. Parmagli farà grandi accoglienzee noi non saremo più qui.

 

Parma7 maggio. Alla stazione.

 

Gliho contati. Partiamo in diciassettestudenti i piùqualcuno operaiotremedici. Di questi unoil Sonciniè vecchiodella repubblica Romana. Diconoche nel treno di Romagna troveremo altri amicifiore di gente. Ne verranno datutte le parti.

Sifanno grandi misteri su questa partenza. A sentire qualcunoneanco l'aria devesaperla. Ci hanno fatto delle serie raccomandazioni; ma intanto tutti sanno cheGaribaldi è a Genovae che andrà in Sicilia. Attraversando la cittàabbiamodato e pigliato delle grandi strette di manoe avuto dei caldi auguri.

 

4 maggio.In viaggio.

 

Nonso per che guastiil treno s'è fermato. Siamo vicini a Montebello. Che gaiecollinee che esultanza di ville sui dossi verdi! Ho cercato coll'occhio pertutta la campagna. È appena passato un annoe non un segno di quel che avvennequi. Il sole tramonta laggiù. In fondo ai solchi lunghiun contadino parla aisuoi bovi. Essi aggiogati all'aratro tirano avanti con lui. Forse egli vide e sadove fu il forte della battaglia? Ho negli occhi la visione di cavallidicavalieridi lancedi sciabole cavate fuori da trecento guainea uno squillodi tromba; tutto come narrava quel povero caporale dei cavalleggieri di Novaratornato dal campo due giorni dopo il fatto. Affollato da tutta la casermacollasciabola sul bracciocol mantello arrotolato a tracollacoi panni che glierano sciupati addossolo veggo ancora piantato là in mezzo a noifieromaniente spavaldo.

-Dunquee Novara?

-Novara la bella non c'è più! Siamo rimasti mezzi per quei campi...

Enarrò di Morelli di Popolocolonnello dei cavalleggieri di Monferrato mortodi Scassi mortodi Govone mortoe di tanti altrilungo e mesto racconto.

-E i francesi?

-Coraggiosi! - rispondeva egli: - ma bisognava sentirli come i loro ufficialiparlavano di noi!

Iolo avrei baciatotanto diceva con garbo.

Poveroprovinciale di quei di Crimearichiamato per la guerraaveva a casa mogliefigliuoli e miseria. Non amava i volontari: gli pareva che se fossero rimastialle loro case in Lombardiaegli non si sarebbe trovato lìcon trent'anni suldorso e padrea dolersi della pelle messa in giuoco un'altra volta. Del restonon si vantava di capire molto le cose: ciò che piaceva ai superioripiaceva alui: tutto per Vittorio e pazienza. Avessimo due o tre centinaia d'uomini comeluibuoni a cavallo e a menar le maniquando saremo laggiù!

 

Nellastazione di Novi.

 

Siconoscono all'aspetto. Non sono viaggiatori d'ogni giorno; hanno nella facciaun'aria d'allegrezzama si vede che l'animo è raccolto. Si sa. Tutti hannolasciato qualche persona cara; molti si dorranno di essere partiti di nascosto.

Lacompagnia cresce e migliora.

Visono dei soldati di fanteria che aspettano non so che treno. Un sottotenente misi avvicinò e mi disse:

-Vorrebbe telegrafarmi da Genova l'ora che partiranno?

Ioné sì né norimasi lì muto. Che dire? Non ci hanno raccomandato di tacere?L'ufficiale mi guardò negli occhicapì e sorridendo soggiunse:

-Serbi pure il segretoma credanon l'ho pregata con cattivo fine.

Esi allontanò. Volevo chiamarloma ero tanto mortificato dall'aria dolce dirimprovero con cui mi lasciò! È un bel giovaneuscitomi pare da pocodaqualche collegio militare; alla parlatapiemontese. Non so il suo nome e non nechiederò. Innominatomi resterà più caro e desiderato nella memoria.

 

Genova5maggio. Mattino.

 

Horiveduto Genovadopo cinque anni dalla prima volta che vi fui lasciato solo.Ricorderò sempre lo sgomento che allora mi colseall'avvicinarsi della notte.Quando vidi accendere i lampioni per le viemi si schiantò il cuore. Fermai uncittadino che passava frettolosoper chiedergli se con un buon cavallogaloppando tutta la notteuno avrebbe potuto giungere prima dell'alba a C...al mio villaggio. Colui mi rispose stizzitoche manco per sogno. Quella nottefu lunga e dolorosa; e ora come posso dormire tranquillobenché lontano daimiei e a questi passi?

Ierisera arrivammo ad ora tardae non ci riusciva di trovar posto negli alberghizeppi di gioventù venuta di fuori. Sorte chelungo i portici bui di Sottoripaci si fece vicino un giovaneche indovinando. senza tanti discorsici condussein questo albergoLa gran sala era tutta occupata. Si mangiavasi bevevasichiacchierava in tutti i vernacoli d'Italia. Però si sentiva che quei giovanii piùerano Lombardi. Fogge di vestire elegantigenialistrane; faccebaldanzose; persone nate fatte per faticare in guerrae corpi esili digiovanettiche si romperanno forse alle prime marcie. Ecco ciò che vidi in unaguardata. Entravamo in famiglia. E seppi sùbito che quel giovane che ci misedentro si chiama Cariolatoche nacque a Vicenzache da dieci anni è esuleche ha combattuto a Roma nel quarantanovee in Lombardia l'anno passato. Glialtri mi parverola maggior partegente provata.

 

Più sultardi.

 

Stamaneil primo passo lo feci da C... al quale farò conoscere i dottori di Parmachea luistudente di medicinasarebbero carise potesse venire con noi.

-Tu vai in Sicilia! esclamò appena mi vide.

-Grazie! Tu non mi hai detto mai parole più degne.

-È una grande fortuna! - soggiunse pensoso: e dopo lunghi discorsi prese lalettera che gli diedi per casa mia. Egli la porterà soltanto quando si sappiache noi saremo sbarcati in Sicilia. Se si dovesse fallirevoglio che la miafamiglia ignori la mia fine. Mi aspetteranno ogni giornoinvecchiando collasperanza di rivedermi.

Miabbattei nel signor Senatoreche mi conobbe giovinetto.

Eglimi ha detto che in Genova si è radunata una mano di faziosii quali oggi odomani vogliono partireper andare a far guerra contro Sua Maestà il Re diNapoli. Non sa più in che mondo viva: e se il governo di qui non mette la manosopra quegli sfaccendati perturbatori... Bastaspera ancora! Scaricava cosi lacollera che gli bolliva; ma a un tratto si piantòdomandandomi se peravventura fossi anch'io della partita. Io non risposi. Allora certo d'aver coltonel segnocominciò colle meravigliepoi colle esortazioni. Come? Potevaessere che il mondo si fosse girato tantoda trovarsi a simili fatti ungiovaneuscito dal fondo d'una valle ignotaallevato da buoni fratifiglio digente quietaadorato dalla madre...? Poi passò alle minaccie. Avrebbe scrittosi sarebbe fatto aiutare da quanti del mio paese sono qui; mi avrebbe affrontatoall'imbarcoper trattenermi... Ed io nulla. Ultima provaquasi piangendo ecolle mani giunte proruppe: Ma che cosa vi ha fatto il re di Napoli a voichenon lo conoscete e andate a fargli guerra? Briganti!

Eppureun suo figlio verra con noi.

 

** *

 

Desinammoin quattroné allegri né mestie restammo a tavola pensando ognuno lontanosecondo il proprio cuore. Tacevamo. A un tratto il dottor Bandiniche m'era difacciasi levò rittocogli occhi nella parete sopra di me. V'era un ritratto.Pisacane! Io lessi alto una strofa stampata a piè dell'immagine di quelprecursoreuna delle strofe della Spigolatrice di Sapri. Al ritornelloildottor Bandini mi fu sopra colla sua voce potente e lesse lui:

 

Eran trecentoeran giovanie forti

E sono morti!

 

Tornòil silenzio di prima. Edio pensai alla notte che si fece sulle due Siciliedopo l'eccidio di Sapri. Oh! alloracome deve essere parsa fuori di ognisperanza una ripresa d'armia quella povera gente laggiù. Ai profughi siaffacciò il sepolcro in terra stranierae il regno fu tutto un carcere.


 

[DAQUARTO A MARSALA]

 

Quartopresso la Villa Spinola. 5 maggioa un'ora di notte.

 

Hobevuto l'ultimo sorso.

Stranacoincidenza di date! Partiremo stasera. Chi fra quanti siamo qui non ripensa cheoggi è l'anniversario della morte di Napoleone?

 

In mare.Dal piroscafo il Lombardo. 6 maggio mattino.

 

Navigheremodi conservama intanto quelli che montarono sul Piemonte furono più fortunati.Hanno Garibaldi. I due legni si chiamano Piemonte e Lombardo; e con questi nomidi due provincie liberenavighiamo a portare la libertà alle provincieschiave.

Noidel Lombardo siamo un bel numero. Se ce ne sono tanti sul Piemontearriveremoal migliaio. Chi potesse vedere nel cuore di tutticiò che sa ognuno dellanostra impresa e della Sicilia! A nominarlasento un mondo nell'antichità.Quei Siracusani chesolo a sentirli cantare i cori grecimandarono liberi iprigionieri di Niciami parvero sempre una delle più grandi gentilezze chesiano state sulla terra. Quel che oggi sia l'isola non lo so. La vedo laggiù inuna profondità misteriosa e sola. E Trapani?

Mivibrano bene nella mentein questi momentile parole di quel volontario che fuin Crimea. «Appoggiammo a Trapaniraccolta laggiù su d'una punta squallidacittà colma di mestizia fin sopra i tetti. Venivanosulle barchedei poveristraccioni a venderci fruttagirando stupefatti attorno alla nostra nave. - Checosa siete? ci chiedevano.

«Piemontesi.

«Edove andate?

«InCrimeaalla guerra.

«InCrimeaalla guerra!» ripetevano chinando il capoe se ne andavano pieni dicompassione.

VedremoPalermo? Vedremo la piazza dove fu fatto l'Auto da fè di fra Romualdo e di suorGertrude? Il Padre Canata ce lo lesse nel Colletta in iscuola; e leggendo parevache schiaffeggiasse la plebe e i grandiche banchettarono cogli occhi sul rogo.

Ricordopiù dolcemio padre narrava che l'anno della fame1811essendo eglifanciullola gente si nutriva di certe mandorle grosse come un polliceportatedi lontano... di lontano... dalla Sicilia. - E che cosa è la Sicilia? -domandavamo noi fanciulli. E lui: - Una terra che brucia in mezzo al mare.

Nell'anno1857l'anno d'Orsinid'Agesilaodi Pisacanesu per le colonne di via Po inTorinolessi scritto col carbone: «Sicilia è insortaall'armifratelli».Chi sa da qual mano furono scritte quelle parole? E se le scrisse un esule comesarà felice se per avventura è con noi.

 

** *

 

Genovanelle ore supreme fu ammirabile. Nessun chiasso: silenzioraccoglimento econsenso. Alla Porta Pilav'erano delle donne del popolo chea vedercipassarepiangevano. Di là a Quartodi tanto in tantoun po' di folla muta. Apie della collina d'Albaro alzai gli occhiper vedere ancora una volta laVilladove Byron stette gli ultimi giorniprima di partire per la Grecia: e ilgrido di Aroldo a Roma mi risonò nelle viscere. Se vivessesarebbe là sulPiemontea fianco di Garibaldi inspiratore.

-Questo villaggio è Quarto? - Sì. - Dov'è la villa Spinola? - Più avanti.

Tiraiavanti. Ecco la villa.

Biancheggiavauna casina di là da un gran cancelloin un bosco oscuronella cui profonditàpei vialisi movevano uornini affaccendati. Dinanzisullo stradale che ha ilmare lì sottov'era gran gente e un bisbiglio e un caldo che infocava ilsangue. La folla oscillava: Eccolo! Nonon ancora! Invece di Garibaldi uscivadal cancello qualcuno che scendeva al mareo spariva per la via che mena aGenova. Verso le dieci la folla fece largo più agitatatacquero tutti; eraLui!

Attraversòla strada e per un vano del muricciolo rimpetto al cancello della villaseguitoda pochidiscese franco giù per gli scogli. Allora cominciarono i commiati. Edio che non aveva lì nessunomi sentii negli occhi le lagrime. Avviandomi perdiscenderemi abbattei in Dapinomio condiscepolo di sei anni or sono. Avevala carabina sulla spalla. Fui lì per abbracciarlo; ma gli vidi a fianco suopadre e un suo fratelloe mi cadde l'animo. Temei d'assistere ad una scenadolorosaperché mi pareva che quel padreche io so tanto amorosofossevenuto per trattenere il figliuolo; e due passi più sotto v'erano le barcheeuna turba silenziosa come di ombre sfilava giù in quel fondo. Invece ecco ilpadre e il fratello abbracciare l'amico mioe... mi si fa un nodo alla gola.

Quiaccanto dicono d'un altro che non conosco. Sono Venetigiovani belli e dimaniere signorili.

-Sapete che la madre di Luzzatto venne a cercarlo?

-Da Udine?

-O da Milanonon so. Corse di quadi làda Genova alla Focedalla Foce aQuartochiedendopregando e tanto fece che lo trovò.

-E lui?

-E lui la supplicò di non dirgli di tornare indietro; perché sarebbe partito lostessocol rimorso d'averla disobbedita.

-E la mamma?

-Se n'andò sola.

 

** *

 

Nonsi vede più terra.

Labarca sulla quale ieri sera mi toccò montaredondolava stracarica. Ibarcaiuoli per farci stare che non si capovolgesseci pregavano di guardareverso Genovacerte luci verdi e rosse che splendevano nella notte. Come fossimobambini! Verso le undici da una barca già in altoudimmo una voce limpida ebella chiamare: «La Masa!». E un'altra voce rispose: «Generalel». Poi non s'udipiù nulla.

Intantole ore passavano; eravamo cullati dall'onda e mi addormentai. All'alba fuidestatoe vidi due navi maestoselì ferme dinanzi a noi. Tutte le barchefurono spinte verso quelle. Mi volsi addietro. Genova e la riviera apparivanolaggiù incertein un velo vaporoso: ma là oltrei miei monti esultavano altie puridominando la scena!

Unabrezzolina increspava le acque; sulle navi si faceva un gran vociare; era unatempesta di chiamatedi apostrofi e anche di sagratiche lasciavano il segnonell'aria come saette. Fu una mezz'ora di gran furia a chi facesse più presto aimbarcarsi; e anch'io potei finalmente agguantare una gòmena e salire. Hosempre negli occhi un giovaneche in quel momento vidi convulso dibattersi infondo ad una delle barchetenuto a stento da tre compagni. Che fosse pentito oil mal di mare l'avesse ridotto in quello stato?

 

** *

 

Siodono tutti i dialetti dell'alta Italiaperò i Genovesi e i Lombardi devonoessere i più. All'aspettoai modi e anche ai discorsi la maggior parte sonogente colta. Vi sono alcuni che indossano divise da soldato: in generale veggofaccie freschecapelli biondi o nerigioventù e vigore. Teste grigie ve nesono parecchie; ne vidi anche cinque o sei affatto canute; ho notato sin dastamane qualche mutilato. Certo sono vecchi patriottistati a tutti i moti datrent'anni in qua.

-Anche tu sei qui? esclamava uno abbracciando un amico: non eri a Parigi?

-Arrivai ieri sera.

-A tempo per venir con noi?

-E avreste voluto fare senza di me?

Miparve una vantazione che stesse male: ma l'aria del giovanotto elegante eratanto semplice e sicura! Non domando mai d'uno chi siapoi me ne pento. Fino adora non conosco che Airentadei nuovi. Eglimentre scrivodorme lungodistesocolla testa appoggiata alla sua saccavicino ai miei piedi. È ungiovane d'oro. Ci conoscemmo ierici trovammo quici siamo promessi di starsempre insieme. I suoi maestri del seminario arcivescovile di Genovaquandosapranno il passo che ha fatto!

Che?Un uomo in mare?

 

** *

 

Fuun quarto d'ora d'angoscia. Indietro alla macchina! urlava il capitanoe illegno si fermò sbuffando. Ma l'uomo caduto in mare era già lontano; apparivaspariva e lottava. Fu presto calata una lancia: la spingemmo cogli occhicoigesticoll'animatutti. Il caduto fu raggiuntoagguantatosalvato. Diconoche sia un genovese.

 

** *

 

Mi si erafitto in mente che questo capitano del Lombardo fosse un Francese. L'ariagliattiil tono suo di comandarelo mostrano uomo che in sè ne ha per dieci. Acapo scopertoscamiciatoiracondosta sul castello come schiacciasse unnemico. L'occhio fulmina per tutto. Si vede che sa far di tutto da sè. Forse inmezzo all'oceanoabbandonato su questa navelui solobasterebbe a cavarsela.Il suo profilo taglia come una sciabolata; se aggrotta le cigliaognuno cercadi farsi piccino; visto di fronte non si regge al suo sguardo. Eppurea trattigli si esprime in faccia una grande bontà. Che capriccio fu quello di chiamarloNino? - Bixio! Ecco il nome che gli sta! Almeno rende qualcosa come un guizzo difolgore.

Sifa notte: il Piemonte tira innanzi più veloce di noi. A quest'ora in casa miasi accende il lumetorna mio padre da fuorila cena fuma sulla mensa; ma lafamiglia tarda a sedersi... qualcuno manca.

 

In mare7maggio

 

Fufatto fare silenzio. Da poppa a prora tacemmo tuttie la voce potente d'uno cheleggeva un foglio suonò alta come una tromba. L'ordine del giorno ci ribattezzaCacciatori delle Alpicon certe espressioni che vanno dritte al cuore. Nonambizioninon cupidigie; la grande patria sovra ogni cosaspirito disagrificio e buona volontà.

Conoscoun altro ordine del giornoche fu letto non so bene se nella ritirata da Romanel 1849o l'anno scorso ai volontariprima che passassero il Ticino. Si sentesempre lo stesso spirito. Anche in quelloil Generale diceva di offrire nongradi né onorima fatichepericolibattaglie e poi... per tenda il cieloper letto la terraper testimonio Iddio.

 

Talamone7 maggio.

 

Vedevamo lontano unvillaggiouna torre sveltasottilelanciata al cielo; una bandiera su quellaagitata dal vento. Bandiera italianavillaggio toscano. Era questo di Talamonesulle coste maremmane. Quando fummo vicini a terrauna barca venne a gran forzadi remi verso di noiportando il Comandante di questo castelluccio. Ilvalentuomo era mezzo sepolto sotto due spalline enormie aveva in capo unalanterna tutta galloni.

Chepaese di povera gente! Carbonai e pescatori. La nostra discesa gli harallegrati.

-Come si chiama quel monte là in faccia?

-Monte Argentaro.

-E quelle case bianchemezzo tuffate in mare?

-Porto San Stefano.

-Con una veduta come questa sempre dinanzi agli occhedovete fare una bellavita!

-Sì se si mangiasse cogli occhi. Ma... Basta... finché si campa!

Cosimi diceva un giovane carbonaiomentre seguitava a discorrereper farmi dire asua volta chi siamoe dove andiamo; io pendevaproprio pendevadalle suelabbrabevendo il dolce della sua lingua e pensando al mio dialetto aspro.

 

** *

 

Lorividi disceso a terra. Lento e sorridente se ne veniva su per la salitavestito da generale dell'esercito piemontese. I lunghi capelli e la barba interacombinavano male con quei panni. Il capitano Montanariche pare suo grandeamicogli veniva a fianco celiandoe gli diceva: «Così vestito mi sembrateun leone in gabbia». Il Generale sorrideva.

 

** *

 

Sonvoluto entrare in chiesa. Una piccola chiesa disadorna e tranquillafattaproprio per pregarvi e null'altro. Mi sono seduto tra le pancheper respirareun po' di quell'aria fresca che era là dentroe invece mi si riempì l'animodi malinconia. Uscitoho subito scritto a casa miaconfessando d'esser quiedicendo con chi e dove vado.

 

** *

 

Misono tuffato in mare con una voluttà indicibile. Le acque erano tiepidepertutta la riva una festa di nuotatorisui poggia brigatesi vedevano i nostrigodere il fresco dell'erba. Lungo la strada che mena ad Orbetello un granviavai.

Mache cosa facciamo qui? Che cosa si aspetta? Stanotte dormiremo a terrae inostri legni staranno all'àncora. Dicono che furono menati via dal porto diGenova per sorpresa. Che colpose venisse una nave da guerra a ripigliarceli!Il meglio sarebbe tirar via. Ma forse il Generale attende notizieo altragenteo armi. Appuntosino ad ora non abbiamo armi. Soltanto alcuni se nevanno attornocon certe carabine che si tengono care come spose. Le hannosempre in ispalla. Sono genovesitutti tiratori da lunga manopreparati aquesti tempi con fede ed amore. Quell'uomo dai capelli griginon vecchio ancorama neanche più giovaneè un professore di lettereamico di Mazziniuscitodi carcere l'anno scorso. V'era stato chiuso pei fatti di Genova del 1857. Sichiama Savi. Ho inteso dire che nel 1856quando fu formata la SocietàNazionalee Garibaldi vi si iscrisse uno dei primiil Savi l'abbiarimproverato d'aver accettato l'iniziativa monarchicalui capo militare delpartito repubblicano uscito da Roma. Ma ora per l'Italia è venuto anche lui. Sene sta in disparte modesto e taciturno; ma si vede che è amato e cercato. Chinon sa chi siagli passa vicino rispettoso e lo saluta.

 

** *

 

Ci siamo provati inquattro a mettere insieme un po' di erudizione. Uno disse che i Galli Gesatiarmati di spiedie incamminati alla volta di Romadevono essere stati più quae più là a camponella pianura verso Orbetelloquando furono colti edistrutti dai Romanisbarcati qui tornando dalla Sardegna. E qui Mario approdòfurtivoreduce dall'esilio d'Africacoll'anima traboccante degli odinatinella palude di Minturno e inaspriti dagli ossequi concessi a Silla. Quisulfinire del secolo scorsole schiere napoletane del conte di Damas videro per laprima volta le insegne dei repubblicani di Francia. E i posteri aggiungerannoche qui discese Garibaldi coi suoinavigando verso Sicilia.

 

Talamone8 maggio.

 

Lecompagnie sono formateotto in tutto. lo co' miei amici siamo scritti allasesta. La comanda Giacinto Carinisicilianoche mi pare di trentacinque anni.Dicono che nel quarantotto fu colonnello di cavalleria; che stesse coll'armialla mano sino all'ultima caduta della rivoluzione; e che da quei tempi visse inFranciasperando e scrivendo. Siamo lieti d'aver per capo un sicilianoche hafama di prode: eppoi è un così bel tipo di soldato! Affabilegentileparla einnamora. E siciliani sono anche gli altri ufficiali della compagniasalvo unmodeneseche deve saper bene il mestiereed essere anch'egli uomo ardito e difranco coraggio.

BixioLa MasaAnfossiCairolied altri bei nomi della nostra storiacomandanoognuno una compagnia: tutti gli ufficiali hanno qualche bella pagina di valore:parecchi sono ancora di quei di Americane ho visti tre che hanno un bracciosolo. Primo aiutante del Generale è il colonnello Türr ungheresee Sirtori èil capo dello Stato Maggiore. Abbiamo con noi il figlio di Daniele Manine hointeso parlare d'un poeta gentile che canterà le nostre battaglie. Si chiamaIppolito Nievo.

Tutti iGenovesi che hanno carabinaforse quarantaformano un corpo di Carabinieri. Illoro capitano Antonio Mosto chi lo volesse dipingereè una bella testa difilosofo antico. Di modi e di fisionomia austeropare uno che abbia fattopenitenza sino ad oggiper affrettare la resurrezione d'Italia. È conosciutoper coraggiosissimo; e infatti come potrebbe non esserlose quei giovani lotengono per primo?

 

** *

 

Horiveduto quei due signori che hanno viaggiato con me da Parma a Genova. Sono quianche loro; soldati nella prima compagnia. Il più giovanepiemontesesichiama Giovanni Pittaluga. È un fuoco. A Piacenzaper aver veduto alcunisoldati francesi andare a zonzo vicino alla stazionesi tirò dentro gridandose quelli stranieri non se ne andranno mai più. E il più vecchioche sichiama Spangaro ed è venezianoe deve essere un uomo di contoa vedere com'èrispettato quidisse con molto sennoche avremo grazia se ci riuscirà divederli andarsene colle buone. L'altro fremeva. Ora avranno agio di continuarela loro disputa sull'efficacia dei modi spicci che il giovane vorrebbeadoperatia farla finita coi nemici d'Italia. Nella sua fisonomia vi è delSaint-Just. Guai a quel povero prete o frate che gli venisse a cascare fra lemani.

 

** *

 

Ilpovero Sartori era seduto sul ciglio di quello scogliocol mare là sotto apicco. Si querelava tra séma udì il mio passo e si tacque. Gli chiesi checosa avesse. Mi rispose che era stato lì lì per buttarsi da quell'altezzaoffeso nel vivo da un capitano che gli impose di levarsi di capo il berretto daufficialeportato nell'esercito dell'Emilia. Deve essere stato un battibeccofiero. Sartori obbedìma ha giurato di far parlare di sé.

 

** *

 

Allegroche scoppiava nei pannimontato a bisdosso su d'un asinellouno dei nostricavalcava su per l'ertatra le risa de' suoi amici. La povera bestia caddeeil giovane andò giù ruzzolonirimanendo malconcio. Fu messo a lettonell'osteriae vi rimarrà chi sa quanto. Poverettoquando noi ripartiremo!

 

** *

 

Unamano dei nostri si staccheranno tra poco da noi. Passeranno il confine romanocondotti da Zambianchi. Mi duole pei tre medici di Parma destinati a seguirlo.Diverse venturecomunque la meta sia una. Noi non ci siamo detti addio.

Emi hanno detto che sono partitio stanno per partirenon so quantiche nonvogliono più seguire il Generaleperché al grido di guerra ha mescolato ilnome di Vittorio Emamiele. Se ne parlase ne giudicama non se ne sente dirmale.

 

9 maggio.Dal Lombardo in faccia a San Stefano.

 

Ierisera c'imbarcammo che il mare pareva volersi mettere in burrasca. Gli abitantidi Talamone ci salutarono dalla rivaaccompagnandoci con auguri pietosi.

Sono venuti abordo del Lombardo tre bersaglieri fuggiti da Orbetello. Uno ve n'era già sinda GenovaPilade Tagliapietretrevisano. Se al Lamarmorache creò questasorte di soldatie li condusse da Goito in Crimeainvincibili sempreavesseropredetto che un giorno quattro giovani vestiti de' suoi panniguarderebberodalla tolda di un bastimento alla Sicilia in rivoltachi sa che rigonfiamentodi cuore n'avrebbe avutoe che sorta di esclamazioni avrebbe tartagliato. Oh lavecchia Sicilia di Vittorio Amedeo!

Ci deve essere granfretta di partireperché Bixio grida ai barcaiuoli che vanno e vengonoportando acqua: «Venti franchi ogni barilese me li portate prima delleundici!». I barcaiuoli fanno forza di braccia e le barche volano.

Intantoche si aspetta l'acquafanno la distribuzione delle armi. Ne ho avuta unaanch'iouno schioppo rugginoso cheDio mio! E m'hanno dato un cinturino chepare d'un birrouna gibernauna baionetta e venti cartucce. Ma non si diceva aGenova che avremmo avuto delle carabine nuovissime? C'è di peggio. Ilcolonnello Türr fu ieri ad Orbetelloe tornò con tre cannoni e una colubrinalunga come la fame; roba che deve essere dei tempi quando quel lembo di terra làsi chiamava lo Stato dei Presidii. Come faremotanto male armati laggiù?

L'acquaè arrivatasi salpa l'àncora. Santo Stefanoaddio. Girato quel promontoriosaremo di nuovo nel grande maree che Dio ci aiuti.

 

9 maggio.Sera.

 

Nonuna vela sull'orizzonte. Oltrepassata l'isoletta del Gigliocominciò unadelizia di venticello che ristorava le vene. Il cielo è purissimo. Neppur piùuno di quei tanti smerghi che ci seguivanolibrandosi altiprecipitandofulminei a tuffarsiquasi per farci festa. Vedemmo molti delfini balzareallegri sull'acqua e tenerci dietro un pezzo.

Frapoco sarà notte. Una voce armoniosa e robusta canta da poppa una canzonecheudiranno i nostri compagni del Piemonte. È il volo dell'anima alla donna delcuore. Adesso la canzone si muta in un coro di voci poderose... «Si vola d'unsalto nel mondo di là!». Oh se fossimo presi in mare!

 

10 maggio.

 

Dall'albafino ad ora fu un vero splendore. Si navigò che pareva di andare al trionfotranquillicolla pace del mare e col cielo che pareva nostro. Ma venne ilmomento dell'angoscia. Uno dei nostri si è gettato in mare. Si dice che sia lostesso dell'altra volta. Dunque allora non è caduto per disgrazia? Quando illegno si fermòvedevamo lontana la testa del naufragoe misuravamo spasimandola corsa della barca che volava a salvarlo. E vi riuscirono. Riportato a bordoBixio lo rimproverò aspramentepoi si commosse e lo fece mettere in unacabinadove è custodito. Gli hanno levato di dosso i panni fracidil'hannovestito d'una tunica da ufficialee ora giace là dentrofulminando cogliocchi attorno come un pazzo furioso.

 

** *

 

Il Piemonte ci precededi molte miglia. Quella nave corre superbacome avesse coscienza della fortunae dell'uomo che porta. Si vede come un punto nero laggiù; anzi non è più cheil suo fumolasciato addietro come la coda d'una cometa. Se si abbattesse nellacrociera napoletana! Ormai siamo nelle acque del nemico. Gli ordini sono piùseveri. Alcuni hanno indossato camicie rosse. Bixio gridali chiama mussulmanivuole che stiano rannicchiati. Nessuna vela sull'orizzonte. Sempre noi solifindove la vista può giungere.

 

* * *

 

Ilcaporale Plona si lasciò sfuggire non so che brutteparolee Bixio giù! gliscaraventò un piatto in faccia. Ne venne un po' di subbuglio. Come un razzoBixio fu sul castello gridando: «Tutti a poppatutti a poppa!». E tutti adaffollarsi a. poppa rivolti a luiritto lassù che pareva lì per annientarci.E parlò:

«Io sono giovanehotrentasette anni ed ho fatto il giro del mondo. Sono stato naufrago eprigionieroma sono quie qui comando io! Qui io sono tuttolo CzarilSultanoil Papasono Nino Bixio! Dovete obbedirmi tutti; guai chi osasse unaalzata di spallaeguai chi pensasse di ammutinarsi! Uscirei con il miouniformecolla mia sciabolacon le mie decorazioni e vi ucciderei tutti! IlGenerale mi ha lasciatocomandandomi di sbarcarvi in Sicilia. Vi sbarcherò. Làmi impiccherete al primo albero che troveremo; ma - e misurò collo sguardolento la calca- ma in Siciliave lo giurovi sbarcheremo!».

VivaNino Bixio! vivavivaviva! E mille braccia si alzarono a luiche stette lassùfiero un poco; ma poi impallidìgli balenarono gli occhi e ci volse le spalle.Dall'alto dell'alberatura i marinai applaudivano. Allora di mezzo a noi si udìla voce quasi fioca d'unoche ritto su d'una bottecoi capelli e la barba diun biondo scialbocon una faccia fine e soavenon più giovane né gagliardoarringavaannaspando nell'aria colle bracciaparlando di Garibaldi e di Bixiocon grandi lodi. Stiamo a vederepensaiche Bixio gli scarica addosso unapistolettata. Mi volsiproprio temendoma Bixio non era più sul castello.L'oratore tirò innanzi un altro pocopoi dové discendere senza concludernulla. Niuno badava a luiperché le parole di Bixio avevano fatto sugli animicome il vento sulle acque. Tutti erano agitatissimiognuno avrebbe data perBixio la vita. Ho chiesto il nome di quell'oratore che ha viso dolce di Galileoe mi hanno detto che è La Masa.

 

 

Di sulLombardo11 maggio. Mattino.

 

Ieridopo il tramontoi marinai delle antenne vedevano ancora come un'ombra delPiemonte. A proraun giovane che pare nato alle grandi avventureaccendevafiocchi di stoppa incatramatae sempre per un verso li buttava in mare. Chefossero segnali? Il bagliore di quelle fiamme rossiccedava a tratti uno stranorisalto alla faccia d'adolescente di quel giovanee la sua fronte parevafuggisse sotto i ricci biondi. Io guardava le sue mani ben fatteil suo pettoampioil suo collo robusto e bellocinto di un fazzoletto di seta ricadente giùper le spalle; e pensava ai mari d'oriente e al Corsaro di Byron.

Mirannicchiai in un angolocon un visibilio nel capoe mi addormentai come unmorto.

-Su! su! - mi disse Airentascuotendomi fortenon so a che ora.

Balzai.Tutti quelli che erano sul ponte stavano ginocchionicurvisporgendo le facciea sinistra. Non si udiva cheun sussurro; le baionette luccicavano inastate.

-Ma che c'è?

EAirenta a me: - Una nave viene a furia verso di noi.

-Borbonica?

-Ha già suonato la campanae Bixio ha comandato di non rispondere.

Lanave veniva dritta sul nostro fiancoe il rumore delle sue ruote era concitatoe rabbioso. Mi pare che il suo camino gettasse fiamme. Bixio piantato sulcastello la investiva cogli occhi. Certo si preparava a qualche tragedia; magaria far saltare in aria sénoi e la nave che ci era ormai quasi addosso. Non hopotuto capir bene quel che seguìper un po' di confusione che mi nacquevicino: solo intesi Bixio gridare: «Generale!». E poi fu una grande allegria.

Quellanave era il Piemonte. Il Generale che ci aveva precedutiscoperta la crocieraborbonicatornò indietro in cerca di noi; ci trovòsi parlarono con Bixioeci riponemmo in viamutando rotta.

Credoche ora siamo più vicini all'Africa che alla Sicilia

 

** *

 

Sitorna a navigare verso Sicilia.

Apoppai Lombardi cantavano le canzoni dei loro laghi. Non sono meste comequelle dei miei montinon rendono le pene delle generazioni nate a patireall'ombra dei castelliche orarovine senza gloriacoronano i poggi sopra ivillaggi delle mie vallate; ma qualcosa di patetico vi è anche in esseetoccano il cuore profondamente.

Hoqui vicino un Unghereseche veggo da ieri girare in mezzo a noi. Non sa direuna parola. Mi guarda con quei suoi occhi picciniaggrottativerdi. Ha icapelli a lucignoli sulla fronte strettae il naso da Unno. Cuoce meditabondo ecuposdraiato a questo sole; e forse sta pensando alla sua patriamentre vienea morir per la mia.

 

** *

 

Granbella veduta d'isolette! Sembrano emerse ora dal mare. C'è del verde di tutti itoni; c'è della roccia splendentec'è un'aria azzurra che avvolge tutto; e leisole hanno una.zona d'argento al piedì.

Sentoche in quelle isole vi sono prigioni orribili. Il Re di Napoli vi tiene chiusi iprigionieri di Statoe le famiglie che ve ne hanno qualcunodicono: «Meglio imorti!».

 

** *

 

LaSicilia! La Sicilia! Pareva qualcosa di vaporoso laggiù nell'azzurro tra mare ecieloma era l'isola santa! Abbiamo a sinistra le Egadilontano in faccia ilmonte Erice che ha il culmine nelle nubi. Un siciliano che era meco sulla toldami narrava le avventure di Erice figlio di Venereucciso da Ercole su quellevette. Erano ameni gli antichima quant'è pure ameno l'amico mioche trovaora tempo di parlare di mitologia! Ei mi disse che su quel monte c'è unvillaggio che si chiama San Giulianodove nascono le più belle donne dellaSicilia.

 

** *

 

Comesi conoscono gli esuli siciliani! Eccoli là a prora tutti affollati. In questomomento non vivono che cogli occhi. Saranno una ventinadi tutte le età.Miracolo se il colonnello Carini sbarcherà vivose non gli si romperà ilcuore dalla allegrezza.

 

** *

 

Ildottor Marchetti che ride sempre quando mi vede scriverenon sa che ora scrivodel suo figliuolo. Compagno d'esiliol'ha voluto seco sin qui. Il giovinetto puòavere dodici anni; eppure è di piglio sì ardito! Fortunato luiche ha unmattino così splendido nella sua vita! Se la morte non lo coglieràsarà unuomo levatosi per tempo nella sua giornata. Che c'è? Tutti guardano da poppa...

 

** *

 

Duenavi corrono a vista dietro di noi!

Siè messo un po' di vento in poppa. Tutte le vele sono spiegatei marinailavorano che sembrano uccelli. Bixio comandaubbidito a puntino. Ha gridato chechi gli sbaglia una manovralo farà impiccare all'albero di maestra! Voliamo.

 

** *

 

Unpiccolo legno veniva da terra. Bandiera inglese. Bixio prese un foglio viscrisse sopra qualcosafece fendere un pane e nel fesso mise il foglio. Poiquando il legno passò quasi rasente a noigettò il pane che cadde in mare. «Allora- gridò facendo tromba colle mani- dite a Genova che il generale Garibaldi èsbarcato a Marsalaoggi a un'ora pomeridiana!».

Sulpiccolo legno fu un levar di maniun battere di applausiuno sventolare difazzolettievvivavivaviva!

 

** *

 

Eccolalì Marsalale sue murale sue case biancheil verde de' suoi giardiniilbel declivio che ha innanzi. Nel porto poco naviglio; una nave da guerra staalla bocca e si è tutta pavesata.

-Prontifigliuoli - grida Bixiotutto per noi; e se avesse la forza cilancerebbe in un colpo alla riva. Ma siamo certi di sbarcaresebbene le duenavi ci inseguano sempre. Hanno guadagnato un bel tratto. Vengono sbuffando.


 

 

[DAMARSALA A CALATAFIMI]

 

Marsala11maggio.

 

Siedosopra un sassodinanzi al fascio di armi della mia compagniain questapiazzetta squallidasolitariapaurosa. Capitano Ciaccio da Palermopiangecome un bambino dall'allegrezza: io faccio le viste di non vederlo. La compagniachi quachi làmezzi a cercar da mangiare. Ma al primo squillonon nemancherà uno. Dal portotirano cannonate a furia contro la città. Su moltecase sventolano bandiere d'altre nazioni. Le più sono inglesi. Che vuol dirquesto?

 

** *

 

IlLombardo è quasi sommerso. Il Piemonte galleggia maestoso sull'acqua. Lefregate che ci inseguivano arrivarono a tiro che noi eravamo quasi tutti sulmolo. La terra ci mareggiava sotto i piedi; stentavamo a tenerci ritti. La cittànon aveva ancora capito nulla; ma la ragazzaglia era già lìvenuta giù aturba. Alcuni frati bianchi ci salutavano coi loro grandi cappelli: cispalancavano le enormi tabacchiere: e stringendoci le manici domandavano: «Sietereduciemigratisvizzeri?».

Alleporte della cittàcomparvero degli ufficiali di marinain calzoni bianchi; evenivano giù al portoverso la nave inglesediscutendo agitati. Noi intantoci stavamo ordinando. A un tratto s'ode un colpo di cannone. Che è? Un saluto!dice sorridendo il colonnello Carinivestito d'una tunica rossacon un grancappello a faldapiumatoin capo. Un secondo colpouna grossa palla passarombando balzellonitra noi e la settima compagniae caccia in aria l'arena. Imonelli si gettano a tetra; i frati fuggono come possono con quei gran corpicamminando dentro i fossati. Una terza palla sfascia il tetto d'una casetta diguardielì presso; una granata cade in mezzo alla mia compagniae fuma periscoppiare. Beffagna da Padova vi corre addosso e ne cava la miccia. Bravo! Maegli non sente o non bada.

Epoi giù i colpi che non si contarono più. Quale furore! Ora la città ènostra. Dal porto alle mura corremmo bersagliati di fianco. Nessun male. Ilpopolo applaudiva per le vie; frati d'ogni colore si squarciavano la golagridando: donne e fanciulle dai balconi ammiravano. «Beddi! Beddi!» si sentivadire da tutte le parti. Io ho bevuto all'anfora d'una giovinetta popolana chetornava dalla fonte. Rebecca!

Equell'arco della porta per la quale entrammo in cittàcome l'ho innanzi agliocchi! Mi parve l'ingresso d'una città araba; e un po' mi parve anche di esserealle porte del mio villaggioche hanno un arco come questo. Mi fermai a dareun'occhiata verso il porto. Venivano su correndo gli ultimi manipoli dei nostri:le due navi borboniche balenavano avvolte nel fumo; e quel nostro Lombardoadagiato su d'un fiancomi fece pietà. Dicono che Bixio l'abbia volutosommergere. Costui dove passa lascia il segno.

 

 

Di guardiasull'antico porto di Marsala. Sera.

 

Noi qui non vediamoche cosa avvenga dall'altra partedove siamo sbarcati; ma senza dubbio quelfuoco da cacciatori è fatto dai carabinieri genovesi. Forse le navi hanno genteda sbarco a bordo e tentano di metterla a terra. Purché non vi riescano nellanottee non colgano i nostri rimasti in cittàalla sprovveduta o peggio! Viè un certo vino traditoree si è stati tanti giorni a digiuno! Ma i capi vihanno pensatoe quasi tutte le compagnie son fuori. La mia è qui tutta intera.Vediamo una gran curva di lidie laggiù all'orizzonte un promontorio nero.Forse è Trapani. Quelle barchette che si staccano colà e pigliano il largosono cariche di gente che fugge. Intanto il fuoco dalle navi continua.

 

 

Marsala12maggio3 ore ant.

 

Ierisera alle dieciil caporale Plona mi piantò laggiù a piè di uno scogliosentinella ultima della nostra filae mi ci lasciò cinque ore. Feci dei versialle stelle. Fu la mia veglia d'arme.

 

 

Mercoledì.Durante il «grand'alt».

 

Allapunta del giorno venne uno a cavalloparlò col capitanopigliammo glischioppie rientrammo in città. Per una via sonnacchiosapassammo innanzi acerte casucciedove la miseria si ridestava nelle stanze terrene semiaperte eschifoseriuscimmo alla campagna dal lato opposto. Là erano tutti i nostri giàordinati e pronti; là un'allegrezza intera e sana che alzava il cuore. In altomarele due navi napoletane di ieri filavano di lungamenandosi a rimorchio ilPiemonte. Bella consolazione! Il Lombardo era sempre al suo posto; e quandospuntò il solela parte della sua carena che era fuori dell'acquaparveincendiarsi dallo splendoreper salutarci e augurarci fortuna.

Nell'ariaera un profumo delizioso: ma quel campo lì fuori le mura di Marsalacoi suoigrandi massi nerastri sparsi qua e làcon quei fiori gialli che lo coprivano atratticominciava a darmi non so che senso di cose morte. Passò Bixio acavallo. Fiero come già sul cassero del Lombardodiede una occhiata burberalaggiù a quel povero legnoaccennò brusco come a dire: «Siamo intesi!» etirò innanzi trottando. Dopo di lui vennero alcune Guidegente che ha navigatosul Piemontebei cavallibei cavaliericoll'uniforme leggiadra che avevanol'anno passato in Lombardia. Nullo caracollava bizzarro e sciolto; torso daPerseofaccia aquilinail piú bell'uomo della spedizione. Pare uno deitredici che han combattuto a Barletta. Missori da Milanovestito d'unatunichetta rossa che gli cresce l'aspetto di gran signoreha in capo ungrazioso berretto rossogallonato d'oroe comanda le Guide. Dolce matutt'animo; lui e NulloEurialo e Niso. Quell'altrosemplice Guidacollafaccia imbroncita e piena di bontaè il più vecchio del drappello. Avràquarant'anni? È Nuvolari da Mantovaun ricco campagnuolo che ha cospirato ecombattuto umile e costante; tipo di puritano dei tempi di Cromwell. Gli altritutti fior di giovani; carissimo un Manci da Trentoche mi fa pensare allaFiorina del Grossitanto ha l'aria di fanciulla innocente.

Sempre sorridente ecolla buona novella in frontearrivò ultimo Garibaldi collo Stato Maggiore.Cavalcava un baio da Gran Visirsu di una sella bellissimacolle staffe atrafori.

Indossava camiciarossa e calzoni grigiaveva in capo un cappello di foggia ungherese e al colloun fazzoletto di setachequando il sole fu altosi tirò su a far ombra alviso. Scoppiò un gran saluto affettuoso; ed Egliguardandoci con aria paternasi spinse fin in capo alla colonna. Poi le trombe suonarono e ci ponemmo inmarcia.

Fatto un bel trattodella via consolaresi pigliò la campagnaper una straduccia incerta edifficile tra i vigneti. I nostri cannoni venivano dietro a stentosu certicarri dipinti d'immagini sacretirati da stalloni focosiche spandevanonell'aria la grande allegria delle loro sonagliere. Ci siamo fermati a questafattoria; una casa bianca e un pozzoin mezzo a un oliveto. Che gioia un pocod'ombrae che sapore il po' di pane che ci han dato! E il Generale seduto a pièdi un olivomangia anche lui pane e cacioaffettandone con un suo coltelloediscorrendo alla buona con quelli che ha intorno. Io lo guardo e ho il sensodella grandezza antica.

 

 

Dal Feudodi Rampagallo. Sera.

 

Ripresala viadopo una buona ora di sostaci rimettemmo per l'immensa campagna. Nonpiù vigneti ne olivima di tratto in tratto ancora qualche campicello di favepoi più nessuna coltura. Il sole ci pioveva addosso liquefattoper la intermìnabilelanda ondulatadove l'erba nasce e muore come nei cimiteriE mai una venad'acquamai un rigagnolomai all'orizzonte un profilo di villaggio: «Ma chesiamo nelle Pampas?» esclamava Paganiil quale da giovane fu in America.

Quellesolitudini dove l'occhio non trovava confinea larghe distanzeerano appenaanimate da qualche capanna di pastorio da branchi di cavalli scioltinellaloro selvaggia libertà. A vedercigaloppavano lontanocacciati dallospaventoe talvolta si arrestavano corvettando dall'allegrezza. Dopo mezzodìsul margine del nostro sentierotrovammo un vecchio pastore. Vestiva pelli dicaprae la sua testafiera e quasi da selvaggioera coperta da un enormeberretto di lana. Teneva le mani appoggiate sulle spalle di un giovinettochepoteva avere quindici annied osservava muto il nostro passaggio. Quando arrivòa lui la mia compagniaegli si rivolse al capitano gridando con voce sicura: «PrincipeCarinireboldate la cabedale!» E spinse il giovinetto in mezzo a noi. Poi siasciugò gli occhie volte le spallesi allontanò per quel deserto. Lontanolontano all'orizzontevedevamo una capannaforse la sua.

-Che è principe il nostro capitano? chiesi al tenente palermitano anche lui.

-No... Un principe Carini esistema borbonico che ci avvelenerebbe l'aria.

Questogran casone bieco e un antico feudo. Arrivammo che il sole andava sottoe ciponemmo qui sul pendiosdraioni sull'erba soffice e lussureggiante. Fui mandatoad attinger acqua. Su d'un rialzo vicino al casonestavano in crocchio alcunidei nostri capi. Mentre passavamo uno di essi diceva: - Avete badato a queldesertotutt'oggi? Si direbbe che siamo venuti per aiutare i Siciliani aliberare la loro terra dall'ozio!

Delnemico non si sente dir nulla.

 

 

13maggio. Salemi.

Daun balcone di conventoin faccia alla gloria del sole.

 

Stamanesuonava la dianae Bixio già in sella veniva da chi sa dove. Se invece diquella uniforme di fanteriavestisse un costume del cinquecentoecco Giovannidalle Bande Nere. Nella notte sono arrivati a squadre molti insortiarmati didoppiette da caccia e di picche bizzarre. Parecchi vestono pelli di pecora sopragli altri abititutti paiono gente risolutae si sono messi con noi.

Quandomovemmo dal campo di Rampagalloeravamo aggranchiti per aver dormito là senzatendesenza copertecome capitammocolla gran guazza che viene giù questenotti. Ma ci liberammo dal freddo assai presto e dopo mezz'ora di marcia sidesiderava già l'acqua. Passammo vicino a parecchie fontibevevamo cogliocchi; ma Bixio era sempre là inesorabile a far guardiae non ci lasciavanemmen bagnar le labbra. Ha fatto bene. Uno dei nostri che riuscì a berecaddea mezzo della gran salita che mena quassù. Lo vidi dibattersi per doloriatrocifra gli amici addolorati; un medico gli teneva il polso e tentennava ilcapo. Speriamo che non sia morto.

Quellasalita scomunicata ci ha fatto rompere il pettoma pazienza. Arrivandofummoaccolti da una folla d'uominidi donnedi fanciulli strilloni; quasi non sisentiva la banda che ci suonava il trionfo.

Unadonnacon un panno nero giù sulla facciami stese la manoborbottando.

-Che cosa? dissi io.

-Staio morendo de fameEccellenza!

-Che ci si canzona qui? - esclamai: e allora un signore diede alla donna unurtonee mi offerse da berein un gran boccale di terra. Fui lì per darglieloin faccia; ma accostai le labbra per creanzapoi piantai lui per raggiungerequella donna Non mi riuscì di trovarla. Ma subito una giovane dagli occhigrandisoavie smuntamalatami porse un cedro colla destrae collasinistra tesa mi disse: - Signorino! - Un cencio di gonnella le dava a mezzostincoe aveva i piedi ignudi. Le posi in mano due prubbichemonetuccie di quiche paion farfalle; essa le prese e corse via. La veggo ancoracolle gambescarnebattute dai brandelli della veste lurida e cortafuggire non so selieta o vergognosa.

Quandogiunse il Generalefu proprio un delirio. La banda si arrabbiava a suonare; nonsi vedevano che braccia alzate e armi brandite; chi giuravachis'inginocchiavachi benediceva: la piazzale viei vicoli erano stipati; civolle del belloo prima che gli facessero un po' di largo. Ed eglipazientelietosalutava ed aspettava sorridendo.

 

** *

 

C'e qui un ufficialevestito dell'uniforme Piemonteseche mi pare tutto quello del caso di Novi. Faròdi parlargliese è luimi scuserò di non avergli voluto dire quel che michiese. Dicono che sia disertoreche si chiami De Amicische sia di Novara.

 

** *

 

Hofatto un giro per la città. L'hanno piantata quassù che una casa si reggesull'altrae tutte paiono incamminate per discendere giù da oggi a domani.Avessero pur voglia di sbarcare i SaraceniSalemi era al sicuro! Vastapopolosasudiciale sue vie somigliano colatoi. Si pena a tenersi ritti; sicerca un'osteria e si trova una tana. Ma i fratioh! i frati gli avevano bellii conventie questo dov'è la mia compagnia è anche netto. Essi se ne sonoandati.

Gliabitantinon scortesisembrano impacciati se facciamo loro qualche domanda.Non sanno nullasi stringono nelle spalleo rispondono a cennia smorfiechicapisce è bravo.

Entraistanco in una tavernaprofonda quattro o cinque scalini dalla via. V'era unabrigata di amiciche mangiavano allegramente i maccheroni in certe ciotole dilegno che... Eppure ne mangiai anch'io. E bevemmo e chiacchierammoe c'eravamodimenticati d'essere qui a questi passiquando venne Bruzzesi delle Guideilquale ci disse che un grosso corpo di Napoletani è a poche miglia da noi. «Meglio!- sclamò Gatti- bisognerà vedere che cera ci faranno».

 

 

Salemi14maggio.

 

IlGenerale ha percorsa la città a cavallo. Il popolo vede lui e piglia fuoco:magia dell'aspetto o del nomenon si conosce che lui.

IlGenerale ha assunta la Dittatura in nome d'Italia e Vittorio Emanuele. Se neparlae non tutti sono contenti. Ma questo sarà il nostro grido. Allecantonate si legge un proclama del Dittatore. Egli si rivolge ai buoni preti diSicilia. Un rètore ha notato chepreti buonisarebbe stato meglio detto.

Lesquadre arrivano da ogni partea cavalloa piedia centinaiauna diavoleria.E hanno bande che suonano d'un gusto! Ho veduto dei montanari armati fino aidenticon certe facce sgherree certi occhi che paiono bocche di pistole.Tutta questa gente è condotta da gentiluominiai quali ubbidisce devota.

Piovedirotto. Del nemico notizie diverse o contraddittorie. Sono quattromila; nodiecimilacon cavalli e cannoni. Si fortificano sui tali monti: nosui talialtri: si avanzanosi ritirano rapidamente. Questa notte staremo ancora qui: eintanto finiranno d'allestire i carri per la nostra artiglieria.

 

** *

 

Grazioso!Ieri l'altroappena sbarcatialcuni dei nostri occuparono il telegrafo.L'ufficialefuggendoaveva lasciato lì un fogliosul quale era scritto: «Duevapori sardi sbarcano gente». Era un dispaccio mandato al Comandante militaredi Trapani. E da Trapani appunto: «Quanti sono? Che cosa vogliono?». Allora inostri: «Perdonatemi sono ingannatoi legni sbarcano zolfo». Da Trapanisecco secco: «Imbecille!».

Poiun taglio dei nostri al filo telegrafico e silenzio.

 

 

Salemi15maggio. 5 ore ant.

 

 Hospalancato le finestre di questa cella di monacoe ho dato un'occhiata allacampagnasonnacchiosa sotto i fumacchi che si levano dalle valli. Chi sa chevia piglieremoe in quale dei punti cui arriva la mia vistasaremo affrontatidai Napoletani? Chi sa per che via marciano a noio in qual gola stanno adattenderci?

Margaritae Bozzani lunghi e distesi lì su d'un tappeto verdeavuto non so da chidormono ancora. Raccugliail buon vecchietto Palermitano che non parla maisiallaccia la calzaturaal lume della mia candela. Torna dall'esilio in nostracompagniacome un popolano fuoruscito del medioevo.

-Sergente Raccugliache tempo avremo oggi?

-Bisognerà vedere il Generale in faccia; ma sarà belloperché vedete là?Gatti si ravvia i capelli. Sempre lindo e attillato. lui!

Lìfuori della portadue milanesi stavano ragionando dei fatti nostriuno piùdottore dell'altroa dimostrare che sono seriassaida tutte le parti. «Nemiconumerosoprovveduto di tutto: noi armi pessimemunizioni pocheun quindicicartucce per ciascunogli insorti peggio armati di noi».

-Ehi? tuonò un vocione dal corridoioche ci siete venuti per fare codesticonti?

Idue si tacquero.

Suonala sveglia. E Simonetta viene a dirci che si parte. Gran giovane Simonetta! Nonsi cura di nulla per sénon vive che per gli altri. V'è una guardia da fare?Simonetta si offre. Un servizio faticoso? Eccolo pronto luigracile e gentile.Si distribuisce il pane? Egli si presenta l'ultimo a pigliare il suo.

Halasciato a Milano il padre vedovo e solo.

 

** *

 

Framinuti si parte.

Ilnemico è davvero a nove miglia. Abbiamo riposato due giorni e due notti suquest'alturatra questa gente povera e rozza. Chi sa dove dormiremo stasera? Icarri per l'artiglieria sono fatti; la colubrina allunga la sua gola; il corpodei cannonieri è formato. Sono quasi tutti ingegneri.

 

15 maggio.11 ore ant. Sui colli del Pianto Romano.

 

Unpensiero a casapoiché tutto e pronto. I nostri cannoni sono laggiùpiantatisulla strada consolare a sinistra. Eccolo là il nemico. La montagna rimpetto anoi ne è gremita; saranno circa 5000 uomini. Noi siamo scaglionati percompagnie. Il Generale da quella punta osserva le mosse dei nemici. Fra lenostre posizioni e le loroe una pianura non vasta ed incolta. La bandierasventola sul poggio più altoin mezzo a noi. Il sottotenente che la portamandò me dal Generalee il Generale mi mandò a lui comandando: «Ditegli chesi porti sul poggio più altocolla bandierae che la faccia sventolare!».Diocon qual voce me lo disse!

Alcolonnello Carini si è impennato il cavallo. Egli è caduto. Non fa nulla.Rieccolo in sella. Dianzi vidi cadere anche il La Masache si deve essere fattomale. Mi sentiicome se avessi battuto del capo io stessocontro quellepietre.

I cacciatorinapoletani discendono dalle alture. Che calma!... Che sicurezza nel loromovimenti! Fra poco... Ma le loro trombeche suoni lugubri!

 

 

16 maggio.Dal convento di San Vito sopra Calatafimi.

 

Saràbellose camperòrileggere fra molti anni questi sgorbi. Avessi avuto tempoda ieri mattina ne avrei fatto cento pagine!

TuttaSalemi era fuori a salutarci. «Benedetti! Benedetti!»: E quando da piè delladiscesa mi volsi a guardare in sutesi le braccia alla città e a quella genteche avrei voluto stringere al petto tutta. Venivano giù le nostre compagnie dipasso allegro e cantando. Garibaldi ad una svolta della viaveduto dal bassograndeggiava sul suo cavallo nel cielo; in un cielo di gloriada cui piovevauna luce caldache insieme al profumo della vallata ci inebriava. E con noigiùdal monte venivano le squadre dei siciliani; una processione che non vidifinireperché la mia compagnia si inoltrò per la campagnabellasempre piùbellasino al villaggio di Vitadove c'incontrammo colle nostre Guide chevenivano indietro di mezzo trotto. Avevano scoperto il nemico. Non v'era che dasalire il colle là pressoe l'avremmo avuto in faccia.

Intantola gente di Vita fuggiva. Fuggivano portando le masserizietrascinando i vecchie i fanciulliun pianto. Attraversammo il villaggio attristatie quella poveragente ci guardavaci faceva cenni di compassioneci diceva: Meschini!

Dopobreve tratto sostammo. E allora vidi la nostra bella bandiera portata al centrodella settimaquel centinaio e mezzo di giovani quasi tutti dell'Università diPaviafior di Lombardi e di Venetila compagnia più numerosa e più bella.

 

AGIUSEPPE GARIBALDI

GLIITALIANI RESIDENTI IN VALPARAISO

1855

 

Lessiqueste paroletrapunte a caratteri grandi d'oro su d'un lato della bandiera.Sull'altro trionfava l'Italiafigurata in una donna augustacherotte lecatenesorge ritta su d'un trofeocannonischioppitutt'oro e argento.

Iocontemplava la bandierapensando che in quelle terre lontane dove fu fattatraquei patriotti donatorivive un fratello del padre mio; e intanto vedeva ungran correre di ufficiali e di Guide. Poi comparve il Generalele trombesquillaronolasciammo la strada consolareci mettemmo pei campi e su per lacollina brullauna compagnia incalzando l'altra. Di lassù scoprimmo il nemico.Il colle in faccia sfolgorava tutto armipareva coperto di diecimila soldati.

-Come? Calzoni rossi? I Napoletani hanno già i Francesi con loro? - sclamaronoalcuni sdegnativedendo il rosso nelle file nemiche: ma i Siciliani che udironoli quetaronorispondendo che anche gli ufficiali napoletani portano calzonirossi.

Ci ponemmo a giacereed erano quasi le undici. Mi parve che fossimo stati a guardarci coi regi pochiminutieppure la prima schioppettata non fu tratta che all'una e mezza dopomezzodì. I cacciatori napoletani scesi lunghi lunghigiù per quelle filieredi fichi d'Indiatirarono primi. Garibaldi gli aveva osservati a lungo da unabalzacon TürrTukörySirtori ed altri molti che gli stavano intorno. Io lovidi malinconico e pensoso. Credo che a quel primo incontro sperasse... sperassein una ispirazione che ai Napoletani non venne. Eppure nostra bandierasventolava lassù nella luce!...

-Non rispondetenon rispondete al fuoco! - gridavano i Capitani; ma le palle deicacciatori passavano sopra di noi con un gnaulìo così provocanteche non sipoteva star fermi. Si udì un colpoun altroun altro; poi fu suonata ladianapoi il passo di corsa: era il trombetta del Generale.

Cilevammoci serrammoe precipitammo in un lampo al piano. Là ci copersero dipiombo. Piovevano le palle come gragnuolae due cannoni dal monte già tuttofumocominciarono a trarci addosso furiosamente. La pianura fu prestoattraversatala prima linea di nemici rotta; ma alle falde del colle chiguardava in su!...

Làvidi Garibaldi a piedicolla spada inguainata sulla spalladestraandareinnanzi lento e tenendo d'occhio tutta l'azione. Cadevano intorno a lui inostrie più quelli che indossavano tamicia rossa. Bixio corse di galoppo afargli riparo col suo cavalloe tirandoselo dietro alla groppagli gridava:

-Generalecosì volete morire?

-Come potrei morire meglio che pel mio paese? - rispose il Generalee scioltosidalla mano di Bixiotirò innanzi severo. Bixio lo segui rispettoso.

Goro da Montebenichie Ferruccio a Gavinana: pensai tra merallegrandomi del ricordo; ma subito mitremò il core; credei di indovinare che al Generale paresse impossibile ilvinceree cercasse di morire.

In quel momentounodei nostri cannoni tuonò dalla strada. Un grido di gioia da tutti salutò quelcolpoperche ci parve di ricevere l'aiuto di mille braccia. «Avantiavantiavanti!» non si udiva più che un urlo; e quella tromba che non aveva piùcessato di suonare il passo di corsasquillava con angoscia come la voce dellapatria pericolante.

Ilprimoil secondoil terzo terrazzosu pel collefurono investiti allabaionetta e superati: ma i morti e i feritiche raccapriccio! Man mano checedevanoi battaglioni regi si tiravano più in altosi raccoglievanocrescevano di forza. All'ultimo parve impossibile affrontarli più. Erano tuttisulla vettae noi intorno al cigliostanchiaffrantiscemati. Vi fu unistante di sosta; non ci vedevamo quasi tra le due parti: essi raccolti làsopranoi tutti a terra. S'udiva qua e là qualche schioppettata: i regirotolavano massiscagliavano sassatee si disse che per sino il Generale neabbia toccata una.

Aquell'ora mancavano già dei nostri moltiche intesi piangere dai loro amici: evidi là pressotra i fichi d'Indiaun giovane belloferito a mortesorrettoda due compagni. Mi pareva che si volesse lanciare innanzi ancora; ma udii chepregava i due fossero generosi coi regiperché anch'essi Italiani. Mi sentiinegliocchi le lagrime.

Giàtutta l'erta era ingombra di cadutima non si udiva un lamento. Vicino a me ilMissori comandante delle Guidecoll'occhio sinistro tutto pesto e insanguinatopareva porgesse l'orecchio ai rumori che venivano dalla vettadonde si udivanoi battaglioni moversi pesantie mille vocicome fiotti di mare in tempestaurlare a tratti «Viva lo Re!».

Frattanto i nostriarrivavano a ingrossarcirinascevano le forze. I Capitani si aggiravano tranoiconfortandoci. Sirtori e Bixio erano venuti a cavallo fin lassù.

Sirtorivestito di nerocon un po' di camicia rossa che usciva dal baveroaveva neipanni parecchi strappi fatti dalle pallema nessuna ferita. Impassibilecollafrusta in manopareva non si sentisse presente a quello sbaraglio; eppure sullafaccia pallida e smunta io lessi qualcosacome la voluttà di morire per tuttinoi.

Bixiocompariva da ogni partecome si fosse fatto in centobraccio di ferro delGenerale. Lassù lo rividi vicino a lui un altro istante.

-«Riposatefigliuoliriposate un altro poco; - diceva il Generale - ancora unosforzo e sarà finita!». - E Bixio lo seguiva per le file.

Inquella il sottotenente Bandi veniva a salutarlolì per cadere sfinito. Non nepoteva più. Aveva toccate parecchie feritema un'ultima palla gli si eraficcata sopra la mammella sinistrae il sangue gli colava giù a rivi. - Primache passi mezz'ora sarà mortopensai: ma quando le compagnie si lanciaronoall'ultimo assaltocontro quella siepe di baionette che abbagliavanostridevanosì che pareva di averle già tutte nel pettotornai a vederequell'ufficiale fra i primi. «Quante anime hai?» gli gridò unoche deveessergli amico. Egli sorrise beato.

Ilgrandesupremo cozzoavvenne mentre la bandiera di Valparaisopassata da manoa mano a Schiaffinofu vista agitata alcuni istantidi qua di làin unamischia stretta e terribile e poi sparire. Ma Giovan Maria Damiani delle Guidepotè afferrarne uno dei nastri e strapparlo; gruppo michelangiolesco lui e ilsuo cavallo impennatosu quel viluppo di nemici e di nostri. Mi rimarràdinanzi agli occhi fin che avrò vita.

Inquel momento i regi tiravano l'ultima cannonatafracellando quasi a bruciapeloun Sacchi pavese; e fu da quella parte un urlo di gioiaperché il cannone erapreso. Poi corse voce che il Generale era morto; e Menotti ferito nella destracorreva gridando e chiedendo di lui. Elia giaceva ferito a morte; SchiaffinoilDante da Castiglione di questa guerraera mortoe copriva la terra sanguinosacolla sua grande persona.

Quasisulla vettavicino alla casinamentre io passavariconobbi ai panni più cheal viso il povero Sartori. Certo era morto fulminatoperché cinque minutiprima lo avevo visto saliree mi aveva salutato a nome. Giaceva sul latosinistrotutto attrappito e coi pugni chiusi. Era stato ferito nel petto. Caddisopra di luilo baciai e gli dissi addio. Povero morto! Negli occhi spalancatinella fisonomia spentagli era rimasto come un desiderio di respirare unaultima fiatata di quell'aria di guerra. Mantenne da prode la sua parola diTalamonee quanti conoscemmo Eugenio Sartori da Sacileparleremo a lungo dilui.

INapoletani mortiche pietà a vederli! Morti di baionetta molti; quelli chegiacevano sul ciglio del colle quasi tutti erano stati colti nel capo. Là unmostricciattoloche ai panni mi parve un villano di queste partiinferociva sud'uno di quei morti. «Uccidete l'infame!» urlò Bixioe spronò su di luicolla sciabola in alto. Ma il feroce scivolò fra le roccie e disparvepiùbestia che uomo.

Macchiettenel quadro grandeveggo quei francescani che combattevano per noi. Uno d'essicaricava un trombone con manate di palle e di pietrepoi si arrampicava escaricava a rovina. Cortomagrosudicioveduto di sotto in su a lacerarsìgli stinchi ignudi contro gli sterpi che esalavano un odore nauseabondo dicimiterostrappava le risa e gli applausi. Valorosi quei monacitutti finoall'ultimo che vidiferito in una cosciacavarsi la palla dalle carni etornare a far fuoco.

Durantela battagliasulle alte rupi che sorgevano ìntorno a noisi vedevano turbe dipaesani intenti al fiero spettacolo. Di tanto in tantomandavano urlichemettevano spavento ai comuni nemici.

Quandoquesti cominciarono a ritirarsi protetti dai loro cacciatorirividi il Generaleche li guardava e gioiva. Gli inseguimmo un tratto; disparvero in una fondura!riapparvero fuori di tironella montagnain facciaseguiti da un centinaio diloro cavalliche stati in agguato sino a quel momentoli raggiunsero a brigliasciolta. Dal campostemmo a vedere la lunga colonna salire a Calatafimigrigialassù a mezza costa del morite grigioe perdersi nella città. Ci parevamiracolo aver vinto. Si mise un vento freddo gelato. Ci coricammo. Era unsilenzio mestissimo. Si fece notte in un momentoed io con Airenta e Bozzani ciaddormentammo in un campicello dì granoaccarezzati dalle spighe curve suinostri corpi.

Stamanequando suonarono la svegliarompeva appena l'albama qualche allodola cantavagià alta nell'aria. Credeva che si dovesse marciare all'assalto della cittàperché ieri sera intesi il Generale parlarne con Bixio. Ma nella notte eravenuta gente da Calatafimiad annunziare che i regi partivano alla volta diPalermo. Allora volli fare un giro pel campo.

RitrovaiSartori là ancora dov'era caduto. Nessuno lo aveva toccatoma pareva morto datre giorni. Le sue guancie erano divenute smuntei suoi capelli tesila pelled'un giallo che non si poteva guardare. Mi si strinse il cuoree non ebbi forzadi dargli l'ultimo bacio. Egli lo avrebbe fattoegli mi avrebbe seppellitocolle sue mani!

Oradi quiio veggo il colle quieto e deserto. Ieri fin le pietre parevano là vivead aiutarci! I nostri morti che giacciono su quei dossisono più di trenta.Gli ho quasi tutti dinanzi agli occhicome erano due giorni or sonobaldiconfidentiallegri. Ma un d'essi mi mette non so che sgomento nell'animaquell'ufficiale che vidi a Noviche rividi a Salemie non rivedrò mai più.Anche De Amicis è mortoe rimasto la nella gloria con nome non suo!

Menoda rimpiangere i mortiperché i poveri feritiraccolti in quel miserovillaggio di Vitasoffrono Dio sa comesolisenza curesenz'altra difesa chela loro impotenza. E se vi capitasse una colonna di questi soldati ferocichehanno l'ordine di non dar quartiere.

Tramontail sole. Giù nella città le bande empiono l'aria di suoni. Mi narrano che vifu cerimonia per la benedizione del Dittatorefatta da un frate che ci seguefin da Salemi. Io non discenderò più di qui: non mi staccherò da questa bellavedutafinché non sia notte. In quel fitto di boschetti laggiù veggo Alcamodi qua a là una Tempe. Il Golfo di Castellamare chiude la scena e par che sfuminel cielonel cielo libero al desiderio che vi si sprofonda. Quell'acquelontane hanno un sorriso di promessain cui l'anima si confondecome negliocchi di una cara fanciulla. Un po' di spiaggiaun po' di spiaggia! Mi sembrache là sapremo qualcosa di noi e del mondoche a quest'ora ci ha giudicati.

Staseraleggerò alla compagnia l'Ordine del giorno. L'ho trascritto nella cancelleriamunicipale di Calatafimidove il capitano Cenni tempestava rabbiosonon soperché. Leggerò:

«Soldatidella libertà Italianacon compagni come voi io posso tentare ogni cosa». Chegrido quando la compagnia udirà quest'altro passo: «Le vostre madri uscirannosulla viasuperbe di voicolla fronte alta e radiante!».

Veggosu per l'erta il colonnello Cariniche se ne viene a cavallo di passo allegro.Che si parta?


 

[DACALATAFIMI A PALERMO]

 

Alcamo17 maggio

Sullasoglìa d'una chiesettaquasi in riva al mare.

 

DaCalatafimi a qui fu una camminata allegraper campagne fiorenti. Ma dappertuttovi era traccia della sconfitta che facemmo toccare ai regi: zainiberrettibende insanguinate buttate lungo la via. All'alba partendo si cantava; poitraper quella vista e per il sole che si alzò a schiacciarcisi tacque e si tiròinnanzi come ombre. Verso le diecici abbattemmo in certe belle carrozzemandate ad incontrarci come gran signori. Alcamo era vicina. Nelle carrozzev'erano gentiluomini lindi e lucentiche fecero le accoglienze al Generale;mentreallo sbocco dei sentierisi affollavano dai campi molte donnecampagnuoleconfidenti e senza paura di noi. Alcune si segnavano devotamente;una ne vidi con due bambini sulle braccia inginocchiarsi quando il Generale passò;e uno dei nostri ricordò le Trasteverine d'undici anni or sonoche lochiamavano il Nazzareno.

Entrammoin Alcamo alle undici. È bella questa cittàsebbene mesta; e all'ombra dellesue vie par di sentirsi investiti da un'aria moresca. Le palme inspiratrici sispandono dalle mura dei suoi giardini; ogni casa pare un monastero; un paiod'occhi balenano dagli alti balconi; ti fermiguardila visione e sparita.

Primache noi giungessimosi diceva che i regi erano sbarcati numerosi e furibondi aCastellamarema che subito erano tornati a imbarcarsi. Non si parla più diquesta mossama si vedono laggiù in alto due navi. Potrebbero essere daguerra.

 

** *

 

Fummoin cinque da un signore che ci volle a forza in casa suae vi desinammo. Chegentilezza d'uomo in quest'isola solitaria: ma che ingenua ignoranza delle cosed'Italia! Egli non ci tenne nascoste le sue figliuoleche ci guardavano ansiosee ci parlavano come a conoscenti antichi.

-Di dove siete? chiedeva il loro babbo a Delucchi.

-Genovese.

-E voi? volgendosi a Castellani.

-Da Milano.

-Ed io da Como- rispondeva senza aspettare d'essere interrogato Rientiche hala testa come uno di quegli angeloni ricciuti e paffutiche si veggonoscolpiticoll'ali aperteai corni degli altari.

-Che bei paesi devono essere i vostri! Ma perché siete vestiti così da paesani?Viadite la veritàsiete soldati piemontesi. No? E allora come avete fatto avincere tanti Napoletani? Passarono di qui che era una pietà a vederli. Nonarriveranno a Palermo la metà.

Poiil discorso cadde sulla guerra dell'anno scorso. Quel signore pareva nato ieri.Credeva appena che Vittorio Emanuele fosse davvero al mondo. Intanto s'erabevutoe qualcuno menzionò Ciullo d'Alcamoe la dolce canzonee si parlòanche di Baridi Pugliae della sfida di Barletta. L'ospite trasecolava asentirci parlare di tante cose: non ci voleva più lasciar uscire; e quandopotemmo andarcene senza disgustarlole sue figliuole ci porsero la mano.Baciammo rispettosi e timidie ce ne venimmo via con un po' di scompiglio nelcuore.

 

** *

 

Iltuono brontolava cupo di là dai monti; tutti si affollavano giù al marecredendo che fosse il rombo del cannone. «Palermo è insortacorriamo aPalermo!». Ma poi sovra i monti si levarono certi nuvoloni scuriun temporaleche svanì.

 

** *

 

Sidiceva misteriosamentedall'uno all'altroche il Generale ha perduto lasperanza di riuscire contro i trentamila soldati che il Borbone ha nell'isola;che la nostra colonna sarà disciolta; che ognuno sarà lasciato libero dicavarsi come potrà da questo passo. L'annunzio fu un lutto. Ma era una falsavoceo forse un gioco che ci viene dal nemico.

 

** *

 

Quelfrate che ci segue sin da Salemivuole spandere un'aura di religiosità sopradi noi. Lo vidi poco fa partirsi per tornare a Calatafimi. - «ColonnelloCatinidisse passando al mio Comandantedomani dirò messa sovra un avellotricolorato! Dopo tornerò con voi».

 

** *

 

Alcuniche rimasero addietroper ferite leggere toccate a Calatafimici raggiunseroqui. Narrano le sofferenze dei nostri compagni ricoverati a Vita. Non si sacomele piaghe ingangreniscono; i medici si struggono intorno ai sofferentimala morte li toglie loro di mano. Francesco Montanari da Mirandolaquell'amicodel Generale che celiava con lui a Talamoneè morto dei primi.

Ese è verocapisco le parole che disse il frate partendo per Calatafimifaun'ora. Mi fu detto che i nostri morti giacciono ancora insepolti sui colli delPianto Romano!

 

18maggio. Tra Partinico e Burgeto.

 

Erameglio rompersi il pettoma varcare la montagnascansare Partinico.

Sisaliva l'erta su cui sorge il villaggioe il po' di vento che rinfrescaval'aria ci portava già a ondate un fetore insopportabile. Appena in cimaciaffacciammo alla vista della cittàarsa gran parte e fumante ancora dallerovine. La colonna da noi battuta a Calatafimi s'azzuffò cogli insorti diPartinicogente eroica davvero. Incendiato il villaggioi borbonici fecerostrage di donne e di inermi di ogni età. Cadaveri di soldati e di paesanicavalli e cani morti e squarciati fra quelli.

 

 

19maggio. Passo di Renna.

 

IeriBurgeto mi parve un agguato. Dalle case biechemezzo nascoste tra gli olivigigantii paesani ci guardavano muticome una processione di spettri. Honotato una cosa. Se un popolo ci accoglie con gioial'altro che troviamo subitodopo ci sta contegnoso e freddo.

Passammo.

Peruna via scavata nella montagna aridatraversammo una goladove ci fu sopra ilvento freddo del crepuscoloa minacciarci una brutta nottata. Sul tardiriposammo su questa montagna. Un vero anfiteatro. Quando si giunse eravamostanchistanchi assai. Da Alcamo a questoche si chiama Passo di Rennacorrono molte miglia. Ma noi le abbiamo percorse senza contarleanzi si cantòsino a Partinico. Là cessarono i canti e l'allegrezza.

Nonho più dormito come stanotteda quando lasciai le panche della scuola. Latesta sulla saccala sacca sovra una pietrail corpo supino lungo il marginedella via. Ma stamane che gioia! Alla punta del giornola banda di non so chevillaggio vicino venne a svegliarcisuonando un'aria dei Vespri siciliani. Iobalzaicorsi sulla rupe più altaquesta dove scrivoe il mio sguardo si perdénella Conca d'oro. Palermo! Era laggiù incerta tra la nebbia e il mare. Sivedevano le navi lungo la radatante come se vi si fossero date convegno tuttele marinerie d'Europaper vederci il giorno in cui piomberemo improvvisi sullacittà. O cacciatori dell'Alpi benedetti!

Tutticorrono ad una grande cisterna là in fondoe si lavano i panni e le persone.Come una scena della Bibbianelle valli della Giudea.

 

** *

 

Dimenticavoche ieri sera verso le diecimentre ci eravamo appena accampati e accendevamo ifuochialcuni signori palermitanivenuti traverso a chi sa quanti pericolicapitarono quassù. Io li vidiquando si incontrarono col colonnello Carini.Egli che torna in patriacoll'armi in pugnodopo dieci anni d'esiglioe queisignori amici suoi d'anticosi abbracciarono d'affettodicendosi cogli occhi ecoi singhiozzi un mondo di cose. Poi intesi da loro che in Palermo tutto èpronto che appena saremo alle portela cittadinanza irromperà dalle caseasopraffare i ventimila soldati che tengono la città. E narrarono ancora che lapolizia vuol dar a credere al popolo che noi siamo saccheggiatoril'ira di Diocome si dice qui. Parlavano dei birri. Ah! i birri di Palermo debbono essere unagran laidezza. A sentire quei signorii birri si vantano che uno di questigiorni dovranno far un eccidio di patriotti; e le trecce delle dame palermitanedicono di volerle a far cuscini per le loro mogli.

Dei soldatisi sa che portarono da Calatafimi un'impressione profonda. Ne sono ancorasbalorditima si tengono compatti e fedeli al Re. Di noidel continentediquel che fuori dell'isola si sa sulle operazioni nostresulla nostra vittorianulla.

Prima dipartirsi da noiquei signori ci vollero baciaree ci diedero convegno aPalermonelle loro case. Benedini dottore tirò fuori il taccuinoe alla lucedel fuoco ne volle scrivere gli indirizzi.

-«Che fate? - esclamò uno di loro afferrandogli la mano- quelle cose lì sitengono a memoria!».

Previdentii Sicilianied esperti nelle cospirazioni.

Nessunodi noi avrebbe pensato al pericolo in cui uno può essere postoper unindirizzo trovato indosso ad un altro. Terremo a memoria quello di quei signorie li cercheremo; purché nel ritorno non siano caduti in mano dei regi.

 

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Iltenente colonnello Tuköry cavalca su e giù per la stradaesercitando unmorelloche non tocca la terra da tanto che è vispo. Giovanissimo per il suogradoquest'ufficiale mi parve l'immagine viva dell'Ungheriasorella nostranella servitù. La sua facciad'un pallido scuroè fina di lineamenti eilluminata da un par d'occhi fulminei e mesti. Egli era a quelle battaglie didieci anni or sonoi cui nomi strani ponevano a me fanciullo uno sgomentoindicibile in cuore. Vide i reggimenti italiani al servizio dell'Austria dare ilcolpo di grazia alla patria sua. Ma l'amore di quella generosa nazione per noisopravvisse. Soltanto non sappiamo quanto la nostra guerra fortunata dell'annoscorsole sia stata funesta. Essa ha qui due rappresentanti degniTuköry e Türroltre a due gregari; quel selvaggio che vidi a bordo e il sergente Goldbergdella mia compagniasoldato vecchiotaciturnoombrosoma cuore ardito esaldo. Lo vedemmo a Calatafimi!

 

** *

 

Hosaputo di Tuköry che fu aiutante del generale Bemche è un vero ingegnomilitare e che ha menato vita d'esule a Costantinopolidal quarantanove in quaonoranda come quella di tutti i nostri fuorusciti del ventunoprimavera sacrad'Italia.

 

** *

 

Trapoco saremo alla pioggia. «Fortunato chi potrà avere un cantuccio laggiùnelMinistero della guerra!»disse Giustiun astigiano sempre gaio d'umorecomegli corresse pel sangue il vino de' suoi colli. Il Ministero della guerra poiè una carrozza mezzo sconquassatache ci viene dietro menando I'Intendenzalecarte e il tesoro militarea quel che intesi un trentamila franchi. Ma inquella carrozza ve n'hanno due dei tesori; il cuore di Acerbi e l'intelletto diIppolito Nievo. Nievo è un poeta venetoche a ventott'anni ha scritto romanziballatetragedie. Sarà il poeta soldato della nostra impresa. Lo vidirannicchiato in fondo alla carrozzaprofilo taglienteocchio soaveglisfolgora l'ingegno in fronte: di persona dev'essere prestante. Un bel soldato.

 

** *

 

Elà cinque grandi botti di vinoe sigari a cestee un monte di ferraiolimandati da non so che Municipioper coprirci e scaldarci. Carità!

 

 

20maggio. Passo di Renna.

 

Caddeacqua tutta la notte. Raccolti attorno a un gran fuococi riparavamo allameglioascoltando i racconti dei Sicilianisu questo luogo di mala fama. Unammazzatoio. Chi arriva ad uno degli imbocchi del passo di Rennaprima diavventurarvisi si segni e pensi mesto a casa sua. La testa d'un masnadieropotrebbe apparire tra qualcuna di queste rocce irtee tra le foglie dei fichid'India balenare spianata una carabina. Sovente i malfattori fanno brigatasipiantano qui; e allora chi capita si raccomandi a Dio. Quelli sono giorni digrassol'oro non bastavogliono il sangue.

Ilcolonnello Carini che parla con tanto garbonarrava anch'egli le storie deimasnadieri cavallereschiche tennero passo in questa Conca. Io mi sforzava pertenere gli occhi apertisebbene non potessi reggere dal gran sonnoma i piùsi addormentarono. Quando se ne avvideCarini si tirò il mantello sul capo esorridendo disse: «Come Mazzeppanell'ultimo verso del poema di Byron».

 

** *

 

Ododire che su d'un certo montedi cui non mi riesce. scrivere il nomesi adunanoa migliaia i Siciliani sotto il La Masa. Fosse vero! Perché sino ad ora siampochie ancora mancano i buoni che abbiam perduti a Calatafimi.

 

 

21maggio. Sopra il villaggio di Pioppo

 

Grandeallegrezza ieri sera verso il tramonto!

Cifecero levare il campo all'improvvisoe si susurrò che si andava a Palermo.Discendendo per la via che serpeggiacon isvolte strettesin laggiù dovecomincia la Conca d'orofemmo la più gaia camminata che sia mai stata. Dovevavenire una notte così piena d'avventure! A un tratto ci fermammo. - Che c'è? -Nulla. Si ha a dormire qui. - Come si chiamano queste quattro casupole? -Pioppo. - E seguitando per questa viadove si va? - Prima a Monrealepoi aPalermo. - Tanto valeva restare al Passo di Renna - mugolò Gaffiniche trovasempre a ridire su tutto. Ma entrò anche lui colla compagnia sotto quel granporticodove fummo chiusi come una greggia. Ci coricammo e zitti.

Primadell'albaeravamo già sucolle armi in ispalla.

Un'albacosì bellache unoavrebbe voluto disfarsi per andar confuso in quei coloridi cielo e in quelle fragranze.

Allanostra sinistraavantiverso Monrealesui colli di San Martinosi udiva unamoschetteria fittacrescereavvicinarsi; poi vedemmo il fumoe i nostricombattere indietreggiando pei greppi. I borbonici usciti da Monreale gliavevano assalitie tentavano di girare la nostra sinistraspingerci per imonti al Passo di Renna.

Riuscendoci avrebbero schiacciati.

-Che oggi si debba avere la peggio? - dicevamo noi.

Passaronoalcune Guide di galoppotornando di verso Monreale. - Che c'è di brutto? -Nulla. -

Passòil Generale collo Stato Maggiore di mezzo trotto; e la moschetteria lassùcontinuava. Quelli che si ritiravano pel montelentiostinatierano iCarabinieri genovesi. Ma più in làanche oltre il colledove essi facevanoquella bella resistenzasi combatteva. Chi era là? Qualche nostra compagniastaccata? O qualche squadra d'insorti? Non si sapeva nulla.

Intantoil sole era già alto e cocentee noi un po' avantiun po' indietrosostandomovendocollo spettacolo negli occhi di una fila di muli tardi che portavano lebarelle per i feritidurammo un'ora in quel passofinché tornammo qui allosbocco del Passo di Rennasenza aver avuto molestia. Schioppettate non se nesentono più. Due dei nostri cannonipiantati là sul ciglioguardano Pioppo eil campo che i regi hanno messo laggiù negli ortinumerosi e ordinati.

Diqui veggo Palermo e la mole immensaverdesu Monte Pellegrino. Quelle lineebianchesfumate su per quei dossidevono essere muriccioli di riparo a qualchevia che mena sul culmine. Vi è una pace in tutto quel che appare laggiùunsilenzio così profondo in tutta quella vitache si indovina a guardare. Eppuresiamo aspettati.

 

** *

 

Eccolotornato il frate che partiva da Alcamoper andare a dir messa sul campo diCalatafimi. Cavalca una vecchia giumentasicuro in sellacome uno che sotto latonacavestisse da soldato: è lietoè giovanesi chiama fra Pantaleo daCastelvetrano. Anche un frate non è di troppo tra noi; dà risalto al nostropiccolo campo. Salvator Rosa avrebbe pagati un occhio que' settechecombatterono a Calatafimi. Forsebuttata la tonacasono ancor qui.

 

** *

 

Dianzimentre me ne andava giùcantando un'arietta da cacciatoria portare un ordinedel mio capitanoincontrai un picciotto armatoche mi fermò gridando:- Qui si canta e lassù si muore! - E mi narròche nel combattimento di pocheore primaera morto Rosolino Pilo lassù; e mi additava i colli sopra Monreale.Morto d'una palla nel capomentre scriveva due righe per Garibaldi. Quel poveropicciotto piangevanarrandomi il fatto; e come capi alla parlata che ionon sono sicilianomi chiese mille perdoni per avermi fermato. Mi pregò dialcune cartuccema iodelle undici che mi rimangono non ne volli donaree lolasciai la incerto e mortificato.

 

 

21maggio. Parco.

 

Mentrei miei panni stanno asciugando al fuocoscrivo colla testa intronata dalla granfatica di questa notte. La padrona di casabuona vecchierellache ci accolsecompassionandoci con atti e voci da madrecuoce un po' di maccheroni per noisfiniti dalla fame.

Ierisino a seraun tempo di Diobello e tranquillo: ma quando ripigliammo le armiil cielo parve corrucciarsi. Il sole era tramontato. Si partì. - Almeno questavolta si andrà davvero a Palermo! - Nosi va a San Giuseppe. - E dov'è SanGiuseppe? - Qui a destraoltre i monti parecchie miglia.

Fattipochi passi per la strada militaresi arrivò ad una casetta solitariascuramezzo ruinatacasa da ladri. Là ci si faceva uscir dalla stradaa misura chesi arrivavae infilavamo un sentiero angusto e sassoso. Dinanzi alla casettadue uomini si sbracciavano a cavar pani da grossi cestonie ne davano tre aciascuno di noi che passava. Era come a ricevere tre punte nel cuore. Dunquedovremo camminare i monti deserti per tre giorni? E questi pani come portarli?Inastammo le baionettee gli infilzammo l'uno sull'altro. Lo schioppocosìequilibratorompeva le spalle.

Inquel momentomi toccò il dolore di vedere Delucchi da Genova seduto su d'unapietraabbracciandosi le ginocchiatormentato da un malore che gli toglieva leforze. «Torna indietro ai nostri carrigli dissiin qualche luogo timeneranno. Che vuoi fare qui? Noi non ti si può portare: fra mezz'ora sarannopassati tuttiverrà la notte e rimarrai solo». Lo aiutai a levarsie lentos'avviò verso la coda della colonnaguardando noi che pareva gli portassimovia il cuore. A pensare che potrebbe essere caduto in mano ai regi!.. Ma speroche avrà raggiunto i carri e che sarà in salvo.

Collaprima oscuritàcominciò la pioggia a darci nel viso i suoi goccioloni grossie impetuosi: parevano chicchi di grandine che ci si spezzasse sulle guancie. Ilvento era freddo; dinanzi a noila terra e l'aria furono presto come a entrarein gola a un lupo. Tuttavia il tenente Rovighi camminava a cavallo da disperato.Ma un tratto una schioppettatascaricatasi per disgrazia a uno della miacompagnialo fece rotolare a terra. La toccò appena come un gattoe si rizzòbalzando su senza dire una parola. Era illeso. Ma la sua povera bestia aveva unagamba spezzata. Passammolasciando Rovighi a dolersi sull'animale chestrepitava nell'oscurità.

Ciavanzammo alla megliotastando la terra cogli schioppicome una processione diciechi. Il buio non poteva più crescere; il sentiero veniva mancando;camminavamo da due orenon si era fatto un miglio: e non uno che potesse diredi non aver ruzzolato in quel macereto.

-Animo! Issa! Da bravi!

Cosìsentimmo susurrarearrivando a un puntodove un viluppo d'uomini siaffaccendava con corde e stanghe. Volevano tirar su da un pantano quellacolubrinaccia sciagurata che portammo da Orbetello. «O lasciatela a giacere lìper sempreche tantose capita di scaricarlascoppia e ci ammazza mezzi!».Così stava per gridare in un impeto di buon umorema la parola mi rientrò. Inquel gruppo v'era il Generalevi era Orsinivi era Castigliaoccupati a farportare a dorso d'uomini tutta la nostra artiglieria. Udii il Generaleincaricare Castiglia di provvedere al trasporto di quella robaa qualunquemaniera; poi il gruppo si diradòe tornammo a camminare per quelle tenebre.

Volgendocia guardare addietrovedevamo i fuochi del campo di Rennavivi come se ancoravi fossimo stati noi a goderli: sulla nostra sinistragiù nella profonditàsplendevano altri fuochi allineatiil campo nemico presso Pioppo: dinanzi anoilontanolontanoun gran disco di luce immobilecome un occhiosovrannaturale che ci guardassesplendevaforse acceso a postaper dare ladirezione alla nostra marcia.

Ela pioggia non cessava. Eravamo fracidi fino alla pelle: e il vento colle suebuffe portava dalla testa della colonna un nitritoche pareva uno scherno.Verso mezzanotte si udì un colpo d'arma da fuocoche scosse tutti sinoall'ultimo della fila. «Ah! almeno sarà finita!» sclamò qualcunoimmaginando che la vanguardia si fosse imbattuta nei nemici. Sarebbe stata unasventurain quel buiocosì malconci. Ma vavatira innanzinon si udì piùnullasi cadevasi tornava rittie nessuno si lagnava. Che cosa era statoquel colpo? Trovammo un cavallo disteso morto sul margine del sentieroe sidisse che era di Bixio: il quale iratoperché coi nitriti poteva scoprirci alnemicogli aveva scaricata nel cranio la sua pistola. Byronsempre Byron! Laral'avrebbe fatto anche lui.

Versol'alba passammo vicino a quel disco di luceche era la bocca di una fornace.Dinanzi a quella boccauna figura alta e nera stava a guardarci. Forse era uninconscio attizzatore; ma mi piace di immaginarmi che fosse uno messo a postaatenerci viva quella fiammacome la colonna di fuoco agli Ebrei del deserto.

Allaprima luce la pioggia cessò. E vedevamo Palermo lì innanzie Monreale appenalontano quanto è larga la Conca d'oro. Guardandoci tra noi avevamo facce dispettri: i panni laceri e fangosi: molti erano quasi a piedi nudi. Stanchisfinitise ci fosse capitata addosso una compagnia ci avrebbe disfatti.

Discendemmoa questo piccolo villaggio che si chiama Parco.

ICarabinieri genovesi instancabilisi sacrificano e vegliano fuori negli ortiperché noi si riposi tranquilli. Per la piazza ampiapare un incendio o uninferno. Tutti asciugano i loro panni stando mezzo nudi. Non una finestraaperta.

Nonsi sa dove sia il Generalema Egli veglia per tutti.

 

 

22maggio. Ancora a Parco.

 

Mison fatto un amico. Ha ventisette annine mostra quaranta: è monaco e sichiama padre Carmelo. Sedevamo a mezza costa del colleche figura il Calvariocolle tre crocisopra questo borgopresso il cimitero. Avevamo in facciaMonrealesdraiata in quella sua lussuria di giardini; l'ora era mestaeparlavamo della rivoluzione. L'anima di padre Carmelo strideva.

Vorrebbeessere uno di noiper lanciarsi nell'avventura col suo gran cuorema qualcosalo trattiene dal farlo.

-Venite con noivi vorranno tutti bene.

-Non posso.

-Forse perché siete frate? Ce n'abbiamo già uno. Eppoi altri monaci hannocombattuto in nostra compagniasenza paura del sangue.

-Verreise sapessi che farete qualche cosa di grande davvero: ma ho parlato conmolti dei vostrie non mi hanno saputo dir altro che volete unire l'Italia.

-Certo; per farne un grande e solo popolo.

-Un solo territorio...! In quanto al popolosolo o divisose soffresoffre; edio non so che vogliate farlo felice.

-Felice! Il popolo avrà libertà e scuole.

-E nient'altro! - interruppe il frate: - perché la libertà non è panee lascuola nemmeno. Queste cose basteranno forse per voi Piemontesi: per noi qui no.

-Dunque che ci vorrebbe per voi?

-Una guerra non contro i Borbonima degli oppressi contro gli oppressori grandie piccoliche non sono soltanto a Cortema in ogni cittàin ogni villa.

-Allora anche contro di voi fratiche avete conventi e terre dovunque sono casee campagne!

-Anche contro di noi; anzi prima che contro d'ogni altro! Ma col Vangelo in manoe colla croce. Allora verrei. Così è troppo poco. Se io fossi Garibaldinonmi troverei a quest'oraquasi ancora con voi soli.

-Ma le squadre?

-E chi vi dice che non aspettino qualche cosa di più?

Nonseppi più che rispondere e mi alzai. Egli mi abbracciòmi volle baciareetenendomi strette le manimi disse che non ridessiche mi raccomandava a Dioe che domani mattina dirà la messa per me. Mi sentiva una gran passione nelcuoree avrei voluto restare ancora con lui. Ma egli si mossesalì il collesi volse ancora a guardarmi di lassùpoi disparve.

 

** *

 

Èserae ancora non pare che il nemico sappia che sia stato di noi. Deve esservigran confusione nel campo borbonico. Ci hanno perduti di vistae nessuno diceloro dove siamo. Gloria a questo popolo; non ha dato ai nemici una spia!

 

 

23maggio. Sopra Parco. Dopo mezzodì.

 

Allafine l'han saputo dove eravamoe nella notte i borbonici si sono avvicinati.All'albain fretta in furiafummo messi in movimento e salimmo quassù. Unbuon braccio potrebbe scagliare una pietra di qui sui tetti di Parco. Abbiamosotto di noi il Calvario e il cimitero a mezza costa; veggo le pietre sullequali sedemmo iericon frate Carmelo. Quel monaco mi ha lasciato un non so cheturbamento; vorrei rivederlo.

Staremoa campo quitutto il giornoe forse anche domani. Che cosa si attende? Chesignifica questo aggirarsi intorno a Palermocome farfalle al lume?

Maestosele rupi che abbiamo a ridosso e a destra. Indescrivibile la vista di faccia. Chinasce qui non si lagni d'essere povero al mondoche anche con una manata d'erbaè un bel viverese si hanno occhi per vedere e cuore per sentire.

 

** *

 

Ègiunto un giovane gentiluomo Palermitanoche all'aspetto crederei fratello delcolonnello Carini. Altobiondorobusto come lui. Si chiama Narciso Cozzo.Venne ben armato e ci seguiràmettendosi nella mia compagnia. Anch'egli parladella città impazienteè pronta ad insorgere. Se la gioventù di Palermo èdel suo sentirenon v'ha dubbio che non ci attenda il trionfo.

 

** *

 

Coicannocchiali si scoprono grossi drappelli di soldatiaccampati sotto le mura diPalermo. A vederli muoversi in quel silenzio laggiùuno dice: «Ma nonverranno essi un dì o l'altro ad assalirci?».

 

** *

 

Unacolonna di regi si avanza cautaper la pianurasino alle falde del monte cheabbiamo a destradiviso da noi solo dal letto asciutto d'un torrentello gramo.Dalla altissima vetta della montagna si udì uno straziante grido d'allarmieun gran fumo montò nero dal culmine nell'aria pura e calda del tramonto. Noipigliammo le armi. Ed ecco laggiùlaggiùdove la pianura finiscecominciarono le schioppettate.

Unasquadra d'insortiappiattati tra le roccefaceva testa ai regiche tentavanoguadagnare la falda del monte. Garibaldi stette un po' a guardarepoi fecediscendere Bixio colla sua compagnia fino al cimitero lì sotto a noi; e comandòa Carini di occupare la vetta di questo collechedissesarebbe luogo digrande combattimento. Noi eravamo pronti; la scaramuccia laggiù si faceva viavia più viva; sulla rupe lassù quel fumo si alzava ancorama sottile ebianco.

Leschioppettate a un tratto si diradaronoe la colonna che voleva forzare quellasquadra di insorti indietreggiò per i campi; poi disparve nel fitto di aranci edi olivi che si stende fino a Palermo.

 

** *

 

Sifa notte. Sovra ogni vetta di questo immenso semicerchiosi accendono fuochifino a Monte Pellegrino; tantiche pare la notte di San Giovanni. E Palermo livedee forse spera che questa sia l'ultima notte della sua servitù.

 

 

24maggio. Piana dei Greci.

 

Sullaporta d'un conventocome un mendico! La città sembra desolata dallapestilenza. Qualche cencioso gironza per le vie e chiede l'elemosina a noi. Ilnostro campo è là fuorima oggi non allegro come gli altri giorni.

Stamanemi destai che tutti si alzavanoe in quella luce crepuscolarepareva larisurrezione dei morti.

Infondo all'orizzonte quietava il mare plumbeo. Palermo accennava appena d'esserecontro la massa scura di Monte Pellegrino; e in faccia a noi una nebbiolinabianca da Palermo al Pioppo. Quando spuntò il sole alle nostre spallerovesciando lunghe per il pendio del monte l'ombre dei nostri corpitutto parveprovasse un fremitoe ci abbracciavamo tra noi.

Lanebbia sfumò. Allora si vide uscire da Monreale una colonna di soldati;avanzare densa e sicura per la via che mena a Pioppo; occuparla tutta quanta èlunga. E non finiva maisebbene la testa fosse già entrata nei boschipervenire a Parco.

Aquesta volta verranno davvero! si diceva; e intanto i nostri del geniocominciarono a lavorare frettolosiper costruire una batteria. Le compagniefurono schierate sulla strada.

Siaspettava in silenzioe pareva di sentire il passo di quella schiera infinitalontana.

Lamoschetteria cominciò laggiù sotto Parco. Sostennero il primo urto iCarabinieri genovesi: ma mentre tutto pareva preparato per tener fermo là doveeravamopassò il Generale collo Stato Maggiorecolle Guidedi galoppounturbinee noi subito dietro di loro a passo di corsa.

Sicamminava così a rotta un trattopoi si rallentava un pocopoi si ripigliava.Vidi molti per l'affanno buttarsi a terra disperatialtri piangevano daldolore: qualcuno narrava che i borboniciincendiato Parcoe rotti iCarabinieri genovesici venivano alle spalle furiosi colla cavalleriae chepresto ci sarebbero stati addosso. S'aggiungeva che il nerbo di quella colonnasono Bavaresimercenari briachiche vogliono farla finita. La ritirata era unluttoe quasi pareva una fuga.

Lastrada che da Parco conduce qui alla Piana dei Greciserpeggia lungo tratto inmezzo a montagne scoscese. Divorammo quel tratto sin dovecessando di salirela strada porta piana a scoprire questa città in seno alla valle. Trafelatisfiniti dal digiunoarsi dal soleriposammo cogli occhi in questo fondo; ma aun punto stavano tre Guide a cavallopiantate in mezzo alla viae arrivando làci fecero pigliare a destra il monte grigiosquallidoa petto. Altre Guideappostate su per i greppigridavanoper animarciche il Generale era inpericolo: e noi a salirea salire verso la vettadonde s'udiva una trombasuonare la diana con angoscia.

Arrivammoa cinquea diecicome si poteva: il Generale era lassù da un pezzo. Infacciasu d'un altro montequello che sovrasta il nostro campo di ieriicacciatori napoletani schierati sparavano contro di noie i loro proiettili cifischiavano sopra come serpenti. Alcuni Carabinieri genovesi rispondevano a quelfuoco; noicoi nostri schioppi inutilistavamo a guardare.

Duròquel gioco di schioppettate forse un'ora; poi i cacciatori napoletanicominciarono a ritirarsie sparirono di là dalla cresta della montagna.

Alloraci ritirammo noi pureper la stessa via fatta a salireaugurando a monteCampanaro che possa sprofondare tanto giù nell'abissoquanto sorge alto esfacciato nell'aria.

Sidice che il generale nemico avesse ideato di varcare i due montisperando difar a tempooccupare Piana dei Greci prima che noi vi arrivassimoe di quiributtarciperseguitandoci fino a Palermo. Ma Garibaldi lo prevenne conmiracolosa prontezza. Ora si pensa che smessa l'ideaci verrà dietroper lastrada militarepercorsa da noi quasi fuggendo.

Hointeso che alcuni dei nostri rimasero prigionieri al Parcoe che uno d'essi èCarlo Mostofratello del Comandante dei Carabinieri. Pare che sia anche feritoe si teme che tutti saranno fucilati!

 

 

Marinco25 maggio.

 

Ifrati della Piana dei Greci furono cortesi. Ci diedero panecaciovino esigarine avessimo voluto. E ci fecero visitare il conventoe le sale dove iloro morti se ne stanno addossati alle pareticome gente che dormao preghisprofondata nel pensieri dell'altra vita. Da quei luoghi lugubri udimmo suonarea raccoltae volando fummo al campo. Le compagnie erano già in filael'artiglieria si era mossa la prima. «Arrivano i regisaranno diecimila!».Così si diceva dall'uno all'altroe si capiva che la nostra ritirata eradecisa di nuovo. Dove si finirà?

-Ma... forse a Corleone dove ci porterà la strada percorsa dall'artiglieria. -Con questi discorsi ci ponemmo in marcia che il sole andava sotto.

Eragià quasi nottequandoabbandonata la strada militareci posero per sentieriangustiin mezzoa un boscozittiumiliatipieni di malinconia. Verso ledieci fummo fermatie ci si comandò di coricarsi ognuno dove si trovava;vietato il fumareil parlareil muoversi. Mi coricai accanto ad Airentaguardando un gran fuoco che brillava lontano nei monti; e quella vista mi ridestòla memoria dei fuochiche s'accendono nelle mie vallila vigilia delle sagre.Provai una passione dolcissimae in essa mi addormentai.

Quandomi destai era l'alba. Le compagnie si ordinavano silenziose. Seppi che nellanotte i regi che c'inseguonopassarono poco discostiper la strada militareeche le nostre sentinelle gli hanno veduti. Vanno innanzi sicuri e fidenti diraggiungercie ci hanno alle spalle. Ora si comincia a capire la nostraritirata di ieri e l'allegrezza rinasce.

 

** *

 

Mezzonudo e mezzo coperto di pelli come un selvaggiosmuntocolla fame nelle guancee colla passione negli occhiil povero giovinetto ci moriva addosso di vogliastando a guardarci schierati fuori del sobborgo.

-Come ti chiami?

-Ciccio.

- Che cosafai qui?

-Sono venuto con voi dalla Piana dei Greci.

-E dove vai?

- Con voi.

- Cosìscalzo e malandato?

Simise a sedere e non rispose. Gli trovammo da coprirsi e da calzarsie cosìrifatto lo pigliammo con noi. Alloraallegro che parve un altroavrebbe volutouno schioppo; dopo mezz'ora conosceva già tutta la compagnia e ci chiamava anome.

-T'insegneremo a leggere e a scrivere.

-Oh!... signorinonon ne sono degno.

 

 

25maggio. Sui monti di Gibilrossa.

 

Questonome di Gibilrossa mi si accozza alla mente con quello di Gelboe mi fa pareretragico tutto quanto veggo d'intorno. Vorrei avere una Bibbiaper leggere quelcanto dove è pregatoche mai più rugiada bagni i colli di Gelboe maledetti.

Malinconiefuori di luogoperché le nostre venture volgono a benee queste alturedovremmo benedirle. Tuttavia sarà prudenza non istarvi a lungo. Ci finiremmotutti o disseccati dal soleo pazzi. Pare d'avere in capo una cuffia di fuoco.

Dov'èandato il venticello fresco di ieri sera? Partimmo da Marineo all'improvviso cheerano le sei. Sulla montagna suonavano le voci dei pastoriche raccoglievano lecapre.

Eravamofuori del borgo ad aspettare di essere messi in marcia. Passò il Generale acavalloe il capitano Ciaccio comandò di presentare le armi. Il Generale feceun atto di stizzacome a far capire che non era tempo di cerimonie.

Pigliammola via che scende da Marineo nella valle profonda. Si camminava lenti equetamente; alcuni gruppi cantavano a mezza voce. Solo un Friulanoconfusonella settima compagniacantava alto con una voce d'argentoquattro versid'un'aria affettuosa e dolenteche andavano al cuore.

 

La rosade da lasere

Bagna el flor delsentiment

La rosade damattine

Bagna el fior delpentiment.

 

Usciidalle file e mi avanzai fino a quel cantoreimmaginandomi che dovesse essere unOsterman da Gemonaamico mio dell'anno scorso. Invece era uno studente dimatematicache si chiama Bertossi da Pordenone.

-Bertossi! Era a San Martino in un reggimento piemontese?

-Sì- mi rispose il compagno che interrogai.

-Allora deve essere quelloche pel suo valore fu fatto ufficialesul campo dibattaglia?

-È quelloma non lo dire; perché se lo sapesse se ne avrebbe a male.

-Perché?

-Perché è fatto cosi!

Guardaiquel giovane che ha vent'anniealla barba nera e pienapare di trenta.Stentava a credere che con quella fisionomia severa fosse stato lui a cantarema i versi del canto non erano indegni di lui.

Chetesori di giovani in quella settima compagnia!

Aun trattomentre era già buio da un pezzola colonna si fermò. Eravamo nelpunto più basso della valle; si bisbigliò che la vanguardia aveva incontratoil nemico; ma per fortuna non era veroche se mai eravamo schiacciati. Ripresala viauscimmo presto dalle sinuosità paurose di quel terrenoe innanzi anoiin altovedemmo una miriade di luci. Era Missilmeri illuminatoaquell'oraper farci festa. A mezzanotte vi entrammo. Non vi era casa che nonavesse un lume ad ogni finestrama gente per le vie poca. Si seppe di La Masa edelle squadre da lui raccolte quassù numerosee ci parve di poter riposaretranquilli.

All'albaci raccogliemmoe ci fu detto che entro un'ora si sarebbe pigliata la montagnaper venire qui a campo.

Entraiin un bugigattolo per bere una tazza di caffè e vi trovai Bixio d'un umore sìneroa vederloche me ne tornai indietro. E andai sulla piazzadov'era unacquaiolo che andava dondolando la sua botticella come una campanae vendevabevande ai nostri che gli affollavano il banco. Egli guardava quei che bevevanocon certi occhicon certo risoche mi pareva volesse avvelenare i bicchieri.M'allontanai anche di làe incontrai il giovanettoche conducemmo con noi daMarineotrionfante con una scodella di latte per me. Mi porse quel lattecollemani che gli tremavano dal piacere di avermelo trovato.

Unosquillo di tromba fece saltar fuori da ogni banda i nostridispersi per lecase; ci mettemmo in marcia e si venne qui. Si vede a destra un formicolio digente: sono le squadre di La Masa. A dar un'occhiata intornoscopriamo tutti iluoghi visitati dacché partimmo dal Passo di Rennaun giro che par nulla e checi è costato tanta fatica. Marineo è lae la sua rupea vederla di quiparepiù minacciosa che da vicino. Se si staccasse dal monte rotolerebbe giù sulborgosventrandolo come un mostro.

 

** *

 

Alfinesappiamo che il mondo esiste ancora! Eravamo nel Limbo da quindici giorni e unpo' di notizie ci parvero luce.

Dunqueil Governo di Napoli ci ha battezzati Filibustieri; le sue Gazzette hannoscritto che fummo battuti a Calatafimi; che uno dei nostri capi è stato ucciso;che siamo dispersi e inseguitiaffinché non ci possiamo buttare alle strade adassassinare.

Questenotizie ce le hanno portate alcuni ufficiali delle navi americane e inglesiancorate nel porto di Palermo. Un atto di amicizia che ci ha fatto gran bene.Hanno parlato col Generalepoi si sono messi a girare pel campo. Che strette dimano franche e fraterne!

Unodi lorogiovanissimocon un par d'occhi d'azzurro marino e due mani rosee difanciullaschizzò alla lesta tre o quattro figure dei nostri e quella delcolonnello Carini. Aveva già nell'album un capo-squadra di Partinicoche ioconobbi e che mi parve un modello da farne uno Spartaco. Gli altri simescolarono a noi raccogliendo e dando notizie. E si mostravano lieti d'avercitrovati gente civile e colta.

Gliabbiamo caricati di letteredi foglietti strappati qua e là e scritti amatita; salutigridi d'affettoche essi faranno capitare alle nostre famigliecol primo legno che salperà da Palermo. Si trattennero un'ora. Dissero che lacittà è una casermama ci hanno fatto sperare nella buona riuscita. Si sa chehanno portato al Generale la pianta di Palermoco' segni dove sono barricate oposti di regi. Ora che se ne sono andatiil Generale sta a consiglio coiComandanti delle compagnie.

 

** *

 

Nonpiù a Castrogiovanniper attendere rinforzi dal continente: pochi o assaiframezz'ora si partirà per Palermo. Bixio lo ha detto: «O a Palermo oall'inferno!».

Ilcolonnello Carini ha parlato alla compagnia. Ha detto che domani l'alba saràgloriosama ci raccomandò di non romperci se saremo caricati dalla cavalleria.Intanto tutte le altre compagnie erano raccolte a circolointorno ai lorocapitani. Si sciolsero rallegrandosi con alte grida.

Diqui al campo delle squadreche è più innanziun andirivieni di cavaliericontinuo. Si dice che i siciliani hanno chiesto d'essere fatti marciare i primi.

 


 

[LABATTAGLIA DI PALERMO]

 

 

31maggio. Palermo. Nel Convento di San Nicola.

 

Tregiorni durò la bufera infernaleche scatenammo sopra Palermo; più di tregiorni! Chi non fu nella lotta deve essersi sentito al punto di venir pazzo. Enoi eravamo partiti da Gibilrossa allegricome ci fossimo incamminati a portarqui una festa!

Horivedutoda Porta Sant'Antoninola montagna da cui scendemmo la sera del 26: ea un dipresso seppi dire il punto dove sostammoper aspettare la notte. Fuun'attesa solenne. L'allegrezza si era mutata in raccoglimento; pareva che sopradi noi soffiasse uno spirito dall'infinito. Io mi era coricato tra due roccecalde ancora della grande arsura del giorno; e mi sentiva nelle membra un teporecosì dolcechestando in quella specie di baracolla faccia rivolta là doveil sole se n'era andatomi colse un malinconico desiderio d'essere bell'emorto. Poi mi invase una gioia fanciullesca e soavea pensare che l'indomanidoveva essere il giorno della Pentecoste; e mi tornò a menteconfuso ricordodi cose lette da giovinettoche i Normanni assalirono Palermo appunto lavigilia di quella festa. Gli immaginai giganti coperti di ferroscintillantinella tenebrosa antichitàpronti a marciare come eravamo noipochifidenticondotti bene; deliziosa mezz'ora di fantasticherie.

Potevanoessere le sette pomeridianequando ci riponemmo in viae a notte chiusaunodietro l'altroci trovammo a scendere giù per un sentieroappena tracciato dibalza in balza. Poco primaavevamo gridato: «O a Palermo o all'inferno!» equella ne pareva senz'altro la via. Il cielo era sereno e quieto; vietato ilparlare; si aveva fame e sonno. Qualcunoscivolandoprecipitava sul compagnoche aveva di sottoquesti sopra un altroe viatanto cheotto o diecicitrovammo talvolta in un fondo; e fortuna se non ci offendevamo colle nostrearmi. Dopo la mezza notte eravamo nella pianuralontano poche miglia daPalermo. I cani latravano dai casali sparsi per la campagnae sulla nostradestra sentivamo il rumore del mare. Alcuni lumi apparivano oltre il fittod'olivi antichiche spandevano i rami contorti come provassero tormenti; forseerano lumi di pescatori. A sinistrasulle alture di Monrealesplendevanofuochi innumerevoli; dinanzi a noinell'oscuritàudivo il passo pesante dellacolonna che ci precedeva. «Chi sarà all'avanguardia?» ci domandavamo avicenda; e pregavamo che fossero i migliori tra noii più rotti alla guerraaffinché potessero giungere improvvisi sui primi posti del nemico esopraffarli.

Aun tratto la colonna lidov'ero iosi commove. Si grida: «La cavalleria!».Infatti il suolo ghiaioso ripercuote un galoppo di cavalli. Ci risovvenimmodelle raccomandazioni fatteci nel partire dal campo; ma sì...! unoduetre sisgomentano: balenammorompemmo le filee ognuno si gettò come poté neicampia ridosso dei muriccioli che facevano riparo alla viao rimasecavalcioni su quelli. E nella confusione furono sparate alcune schioppettatecontro un cavallo biancoche veniva verso di noi come un fantasma. Poverabestia! portava il capitano Boviil quale si fece riconoscere alle grida!Cessammo quello scompiglio; ci rimproverammo tra noitremando che quei colpifossero per mandare guasta ogni cosa; e tirammo innanzi vergognosi del silenziosevero del colonnello Carini.

Perquei colpi i latrati dei cani crebbero vicinilontaniinfiniti.

Passammopresso un casone immensoaddormentato o deserto; edi là a pochi passientrammo nella strada grande che mena a Palermo. L'aria cominciava arinfrescarsi per l'alba imminente.

Daigruppi di case man mano più frequentisi affacciava la gente paurosaguatandoil nostro passaggio. Ci fu comandato di camminare a quattro a quattro; ditenerci a destra rasente i muri degli orti; poi accelerammo il passo... dallatesta della colonna s'udì una schioppettatae un all'armi! gridato condisperazione: e allora fu un urlo terribileun fuoco improvviso; un corricorri: «Avanti! Avanti!» entravamo nel combattimento.

Urtammoin una calca di picciotti: li rovesciammo parte negli ortie parte litrascinammo con noi. Uno di questisignoreforse capo squadraaccusava quellifurentee veniva via agitando la spada. Ma in quell'ira urlò: «Dio!» giròsopra se stessofece tre o quattro passi di fianco come un ubbriacoe cadde lànel fossatoa piè di due pioppi altissimivicino a un cacciatore napoletanomorto; forse la prima sentinella sorpresa dai nostri. Li vedo ancora. E odo quelgenoveseche in quel punto dove il piombo grandinavagridò nel suo dialetto:«Come si passa qui?». Gli rispose una pallacogliendolo in fronte estendendolo là col cranio spezzato.

Siguadagnò un bel tratto rapidamentema al ponte dell'Ammiraglio trovammo unaresistenza quasi feroce.

Sullaviasugli archisotto il ponte e negli orti circostantistrage allabaionetta. L'alba spuntavatutti si aveva non so che di selvaggio nel volto.Padroni del ponte vi fummo trattenuti da un fuoco terribilefulminato da unmurosul qualenel fumobiancheggiavano i budrieri incrociati d'una lungafila di fanteria. Lì un cacciatore ferito dava del capo contro al muricciuolodel ponte per fracellarselo: ma Airenta pietoso lo tirò discostopoicollasua calma che non cambia maicontinuò a sparare contro a quella fila. Laqualeassalita forse di fiancospariva; mentre un po' di cavalleria caricava inostri a sinistrae n'era respinta e ricacciata per la campagna. FaustinoTanaraquell'ufficiale dei bersaglieripallidoardito e bellovenivatempestando con un manipolo da quella parte; con luiincalzatiincalzandociaddensammo al crocicchio di Porta Terminispazzato dalle cannonate d'una naveche tirava a rottae dal fuoco d'una barricata di fronte a noi.

Cometurbine lo avevano già attraversato i più audaci dei nostrisotto gli occhidi Garibaldiche vidi là a cavallomirabile di sicurezza e di pace in faccia.Gli stava accanto Türr. Tuköry era caduto poco prima ferito; ed io lo avevoudito dir con dolcezza a due che volevano trasportarlo in salvo: «Andateandate avantifate che il nemico non venga a pigliarmi qui». Nullo era giàdentro con una mano di bergamaschibalzato di là dalla barricata col suocavallo poderoso tra i regi fuggenti; a Porta Sant'Antonino l'assalto riuscivapure: ma noi più fortunati fummo d'un lancio alla Fieravecchia. Allora unacampana cominciò a suonare a stormoe fu salutata con alte grida di gioiacome una promessa tenuta.

-Ma che cosa fanno i Palermitaniche non se ne vede? - chiesi ad un popolano chesbucò da una porta armato di daga.

-Ehsignorinogià tre o quattro volteall'albala polizia fece rumore eschioppettategridando viva l'Italiaviva Garibaldi. Chi era pronto veniva giùe i birri lo pigliavano senza misericordia.

-Oh!... E i Palermitani ora han paura d'un nuovo tranello?...

Conquel popolano demmo entro pei vicoli sino a via Maqueda. Làsolitudine ecannonate dall'un dei capitirate forse contro un giovinotto che si sfogava acalpestare un'insegna reale strappata giù dal portone d'un gran palazzo.Passammo in un altro vicolo... Dioche visione!

Aggrappatecolle mani che parevano giglia una inferriata poco alta ma ampiasopra unarchivolto cupotre fanciulle vestite di bianco e bellissime ci guardavanomute.

Ciarrestammo ammirando.

- Chi siete?

- Italiani.E voi?

- Monacelle.

- Ohpoverette!

- Viva SantaRosalia!

- Vival'Italia!

Edesse a gridare: «Viva l'Italia!» con quelle voci soavi da salmoe adaugurarci vittoria. Le vedrò sempre cosi come gli angeli dipinti dal Beato diFiesole.

Entrammoin piazza Bolognigià occupata da un centinaio dei nostri. Il Generalesullagradinata d'un palazzostava interrogando due prigionieriche piangevano comefanciulli.

-Volete tornare coi vostri? Tornate pure!... - diceva loro il Generale: ed unofece atto d'andarsenel'altro restò. Quello tentennò un pocopoi vollerimanere anche lui. Erano Calabresigiovani; parevano stupiti di non esserestati fatti a brani.

AppenaGaribaldi sedé nell'atrio del palazzorimbombò là dentro una pistolettata.«L'hanno assassinato!» urlammo noi dalla piazzae ci affollammo alla porta.Non era nulla. Gli si era scaricato un colpo della pistola che portava acinturae la palla gli avea sforacchiato i calzonisopra il collo del piede.Ci rassicurammo. In quel momento arrivò Bixio.

Loavevo visto poco prima lanciarsi tempestando addosso ad uno chevedendoloferitoaveva osato pregarlo di ritirarsi: e buon per colui che trovò una portada ripararvisi. Era fuoco in facciaimpugnava un mozzicone di sciabolasipiantò dinanzi a noi e: «Su! venti uomini di buona volontà... tanto tramezz'ora saremo tutti morti; andiamo al Palazzo Reale!». E contò i venti chegià partivano con lui. Senonché fu chiamato dal Generaleobbedìed entrònell'atrio a consiglio. V'erano già alcuni signori palermitani e un prete; lacittà cominciava a scuotersia ruggire sordamente; da Castellamare si udì unoscoppio; la prima bomba rombò nell'aria e caddee fu una imprecazione cheparve riempire il cielo.

Daquel momento campane a stormo per tuttoe una bomba lanciata ogni cinqueminutipausa funebre e crudele. Verso le tre pomeridianei cittadinicominciavano a rovesciarsi per le vie! Noiun po' scorati nelle prime orepigliavamo animo. Sorgevano le barricate: uomini e donne lavoravano arditamente;cadeva una bombatutti a terra; scoppiava: «Viva Santa Rosalia!» e tutti su alavorare da capo. Così venne notte. Il castello cessò di tirare: i regioccupavano la parte alta della città; noi il resto; a Palazzo Pretorio s'erapiantato il Quartiere Generale; i donzelli del Municipiocolle giubbe rossesiaffaccendavanogiovani e vecchiper il Dittatore. Intanto nuove squadreentravano da Porta Terminine vennero tutta la notte; e noi la invocavamolungaper riposarci e prepararci all'evento.

 

 

Segue31 maggio.

 

Mal'alba arrivò che l'ore parvero minutie la sveglia del secondo giorno fu datadai regi di Castellamareche ricominciarono colle bombe. Le lanciavano misuratesul Palazzo Pretoriosperando forse di schiacciarvi il Quartiere Generale. Male bombe piombavano sul convento di Santa Caterinaa un angolo della piazza. Eil Generale se ne stava a piè d'una delle statue della gran fontanadinanzi alpalazzo. Lì riceveva le notizie dai punti combattuti della città; di lìpartivano i suoi ordini: lì lo vedevamo noi di tanto in tantopassandosbalestrati ora da una parte ora dall'altradove ci chiamava il bisogno.

Inuno di quei momenti che non ne potevamo più dalla seteBozzani ed iotraversavamo una piazza. «Vediamo se in questa casa ci danno un sorso d'acqua?»dissi io: e battei a un gran portone sul quale era scritto «Domicilio inglese».Fu scostato un battentee vedemmo nel cortile una folla costernata.Entrammo. Ci venne incontro un signore che non sapeva quale accoglienza farci;ma pareva lì lì per pregarci di tornare indietro. Però sentendoci parlaresubito si mostrò corteseci tirò in mezzo a quella follafece portar acqua evino. Bevemmoringraziammo e volevamo partire. Ma tutta quella gentesignore esignorineci furono attornoci prendevano le manici pregavano di star lì aproteggerle; alcune piangevano dalla compassione per noi. Vollero i nostri nomie noi li scrivemmo su d'un foglietto; gran meraviglia per loroche due soldatisapessero far tanto. Ci tempestavano di domande; e per la città che c'è? e chivince? e quanto durerà? Santa Rosalia che spavento! «Perdonate se non vi hofatto subito buon visoci diceva il signore venutoci incontroavevano dettoche eravate mostri ferociche bevevate il sangue dei bambiniche scannavate ivecchi... Invece siete gentili».

E noi a ridere. E le donne: «E Garibaldi dov'è? È giovaneè bellocome è vestito?». Rispondevamo in quella confusione amorevole; e intanto igiovinotti ci pigliavano di mano gli

schioppidiscorrevano tra lorosi accendevano in facciaci invidiavano; ma il vecchiocon un'occhiata li teneva a segno.

Uscimmodi la colla promessa di tornaree appena fuori vedemmo una turba alla portad'un fornaio. «Il forno dei Promessi Sposi! - dissi a Bozzani - bisogna correreche non lo saccheggino». E corremmo. Ma quella gente non faceva tumulto;pigliava i panipagava e se ne andavafacendo posto ad altra gente chesopravveniva. Un signore ci disse che dal giorno innanzi la sua famiglia nonaveva mangiatocolta dalla rivoluzione senza provviste in casa. E soggiungeva:«Siete arrivati così di sorpresa!».

-Però siete contenti? - gli chiesi.

-Santo Diavolo; siete i nostri liberatori!

Cen'andammoavviandoci ai Benedettinidove era la nostra compagnia e ciabbattemmo nel cavallo del capitano Bovisteso sotto un androne; quel poverocavallo che già aveva rischiato d'essere uccisola notte della discesa daGibilrossa.

-Questo è il cavalloche quello sia il padrone? - disse Bozzaniinoltrandosiverso un morto che giaceva più in là. - Oh... vedi... vedi... è quel poveroragazzo che nella prima marcia da Marsalafu messo in mezzo a noi da quelvecchio...!

Dovevaessere proprio quel giovinetto. Io non lo avevo più riveduto da quella primavoltae a trovarlo là mi si mescolò il sangue con disgusto indicibile. Avessipotuto volare sulla capanna di quel vecchioche in quel momento vidi nella pacelontana dell'orizzontea sentire se il cuore non gli diceva nulla!

 

** *

 

Perle vie pareva giorno pieno. Le notizie che venivano di bocca in boccada tuttele parti della cittàci consolavano; i regi erano respinti sempre su tutti ipunti. Le barricatemoltiplicate in ogni viarendevano loro impossibile dirompere e tornare dentro. Sulle grondesui balconierano ammonticchiatitegolisassisuppellettili d'ogni sorta; al punto in cui si era non rimanevaal nemico che incenerir la cittào lasciarla libera a noi.

 

** *

 

Sidicevail mattino del ventinoveche il Corpo consolare avesse protestatoeche le navi da guerra raccolte nella rada minacciassero di mandare in ariaCastellamarese il barbaro lanciar di bombe non fosse cessato. Chiacchiere. Ilcastello tirava più rabbioso che maie già centinaia di case erano ruinateseppellendo gente chi sa quanta. Sarà lungo il pianto che terrà dietro allafebbre di questi giorni. Ripiegammo a Porta Montaltodove stava a guardia ilcolonnello Carini. Quel bastione l'avea preso d'assalto Sirtoricon pochi dellasesta e della settima compagnia: e i regi giacenti là attorno morti eranotantiche ancora non so capire chi gli abbia potuti uccidere.

IlCarini mi mandò al Palazzo Pretorio per munizioni. Vi trovai il Sirtori.Munizioni non ve ne dovevano essereperché egli mi disse di rispondere alCariniche il bastione si doveva conservarlo difendendolo all'arma bianca.

APalazzo Pretorio mi parve regnasse un po' di sconforto. Chi sa che notiziev'erano? Eppure la città oramai era tutta sollevata e risoluta a ogni estremopiuttosto che a rivedere nel proprio seno il nemico. Me ne tornai al Carinicolle mani vuote: egli capì e tacque. Più tardi mi rimandò. In PiazzaPretoria v'era tal folla checome dice il Manzoniun granello di miglio nonsarebbe caduto a terra. Il Dittatore dal balcone a sinistraquasi sull'angolodi via Maquedafiniva un discorso di cui colsi le ultime parole: «... Ilnemico mi ha fatto delle proposte che io credei ingiuriose per teo popolo diPalermo; ed io sapendoti pronto a farti seppellire sotto le ruine della tua cittàle ho rifiutate!».

Nonvi può essere paragone che basti a dare un'idea di quel che divenne la follaaquelle parole. I capelli mi si rizzarono in capola pelle mi si raggrinzòtutta all'urlo spaventevole e grande che proruppe dalla piazza. Siabbracciavanosi baciavanosi soffocavano tra loro furiosi; le donne piùdegli uomini mostravano il disperato proposito di sottoporsi a ogni strazio. «Grazie!Grazie!» gridavano levando le mani al Generale; e dal fondo della piazza glimandai anch'io un bacio. Credo che non sia mai stato visto sfolgorante come inquel momento da quel balcone: l'anima di quel popolo pareva tutta trasfusa inlui.

Maalla seraverso le diecilo rividi cupoagitatolì a piè di quella statuadove passava le notti. Mi aveva chiamato il tenente Rovighiper mandarmi aportare un ordine. Il Generale mi pose colle proprie mani un fogliettotra lacanna e la bacchetta dello schioppomi comandò di farlo leggere a tutti iCapi-posto che avrei trovati sino a Porta Montaltoe che giunto là lolasciassi al colonnello Carini. Mi avviai col cuore stretto. Il primo Capo-postoche trovai fu Vigo Pelizzari. Gli porsi il biglietto. Egli lo lessesi turbòun pocome lo ridiede; ma senza dir nulla a' suoi che gli si affollaronointorno. Tirai innanzibruciando dal desiderio di conoscere il contenuto diquel fogliopotevo leggerlonon osai. Dal colonnello Carini cui lo rimisi perultimoseppi poi che v'era scritto: «Dicesi che siano sbarcati ottocentoTedeschiultima speranza del tiranno. In caso d'attacco da forze soverchiantiritiratevi al Palazzo Pretorio». Carini non si mostrò guari commosso per lanotizia; mi rimandò colla ricevuta del foglio; ed io me ne rivenni pensando condolorecome una mano di stranieri potessero mettere in forse le sorti dellacittà e nostre. Maarrivando al Palazzo Pretoriotrovai il Generale giàmutato d'umore. Discorreva con Rovighi dicendo che sperava di farla finital'indomani; che al Palazzo Reale i regi non avevano più munizioni da boccachenon potevano più comunicare né col castello né colla marina.

Mirallegrai fino in fondo all'animae stanco morto mi rannicchiai là vicinocolpicchetto di guardia.

Ierifinalmenteverso mezzodìricevemmo a Porta Montalto l'ordine di cessare ilfuoco. Subito corsi al Palazzo Pretoriodove trovai che l'armistizio eraconcluso per ventiquattr'oretanto che si potessero seppellire i morti. Erabell'e sottoscritto il foglioquando capitò un preteche mi parve quellovenuto sin dal mattino del giorno 27 in piazza Bologni. Gridava al tradimentoannunziando che i Bavaresi entravano da Porta Termini. «Che Bavaresi?»gridavamo noi. «Quelli di Boscoche tornano da Corleone!».

Cirovesciammo a quella volta quanti eravamo là attornoe arrivammo a PortaTermini che già i Bavaresi avevano oltrepassata una barricata. Si arrestaronovedendo un parlamentario avviarsi a loro; cessarono il fuoco; ma uno dei loroultimi colpi sciagurati colse nel braccio sinistropresso la spallailcolonnello Carini. Egli cadde e fu trasportato al Palazzo Pretorio come intrionfo.

Laggiùin fondo alla viain mezzo a quelle facce torve di stranierisi vedeva ilcolonnello Bosco aggirarsi furiosocome uno scorpione nel cerchio di fuoco. Ohs'egli avesse potuto giungere mezz'ora prima! Entrava difilatoe se ne venivaal Palazzo Pretorio quasi di sorpresacon tutta quella genteche aveva larabbia in corpo della marcia a Corleonefatta dietro le nostre ombre. Chi sache fortuna sfuggiva di mano a questo Sicilianogiovaneardito e riccod'ingegno?

Neltornare a Porta Montaltopassai con Erba dalla piazzetta della Nutricepervedere se vi fosse ancora quella povera morta di ieri l'altro. Non v'era più.Mentre ne parlavo ad Erbaun colombo venne a posarsi pettoruto su d'una grondalì sopra.

-Gli tiro?

-Tira pure...

Meraviglioso!Il colombo venne giù senza testacome un cencio. «Bravo!» sentimmo gridaree vedemmo cinque ufficiali napoletani che venivano verso di noi. «Bravotiratore!» dicevano stringendo la mano ad Erba e a memortificato del tirofelice. Ma Erba: «Oh! non è nullanoi codesti tiri li facciamo a volo...».

-Anche a volo! - esclamarono gli ufficiali- ma allora siete davvero bersaglieripiemontesi?

-Che bersaglieri! - rispondemmo noie sempre tempestati di domandeci lasciammotirare da quei cinque a visitare la piazza del Palazzo Reale.

Vedemmonon so quante migliaia di soldati accampati sulla piazza. Mangiavano lattuga amanate come pecoree ci guardavano da ammazzarci cogli occhi. Credo che se nonfossimo stati così bene accompagnatiil pezzo più grosso che poteva avanzaredi noi era l'orecchio. Ci inoltrammo in mezzo ad un nugolo d'ufficiali. Unvecchio colonnellocon certa barba sulle guance che pareva cotone appiccicatorubizzoadustobell'uomoci accolse cortese. Anch'egli voleva a forzafarciconfessare per soldati di Vittorio Emanuele.

-Eh! dicevafarebbe meglio il vostro Rese pensassea' casi suoi. Non avràsemprecome l'anno scorsoi Francesi.

-Oh! meglio certamentemille volte meglio se vi eravate voi; - disse pronto Erba- gli Austriaci li avremmo fatti andar via anche dalla Venezia.

-Che Venezia! che Austriaci! - sclamava il colonnello guardandosi attornoaccendendosi e non volendo parere.

-E se un altr'anno e voi e noi uniti riprenderemo la partita contro l'Austriavedrete...

Ilcolonnello parve uno che sia lì per isdrucciolare e cerchi d'agguantarsi...

-Vedrete... vedrete voiche domani sarete tutti morti! - troncò bruscamente. -Meritereste miglior fortunama vi siete cacciati in questa Palermo che vilascierà schiacciare...

-Però sino ad oggi dobbiamo lodarcene di Palermo...

-Benebenelodatevene pure! - E come vide che i soldati si affollavanotemendoforse per noisi mosse e ci fece accompagnar via.

 

 

31maggio.

 

Eravamopronti. Solenne ora questo mezzodì! Ma l'armistizio fu prolungato. Finoall'alba del tre giugno potremo riposarelavorareprepararcie se sarà persoccomberela città lascierà una pagina che commoverà tutto il mondo per ilbene d'Italia.

 

** *

 

IlGenerale ha fatto un giro per la cittàdove ha potuto passare a cavallo. Lagente si inginocchiavagli toccavano le staffegli baciavano le mani. Vidialzare i bimbi verso di lui come a un Santo. Egli è contento. Ha veduto dellebarricate alte fino ai primi piani delle case; otto o dieci ogni cento metri divia. Ora sì che possiam dire d'aver tutto il popolo dalla nostra! Siamo perdutiin mezzo a questa moltitudine infinita che ci onoraci dà rettaci scaldad'amore.

 

** *

 

Nonv'è più dubbio. Simonetta è morto. Abbiamo incontrato un picciotto con unacamicia a riquadri rossi e bianchi... Margarita lo fermò.

-Dove hai preso codesta camicia?

-L'ho levata ad un morto.

-Dove?

-Ai Benedettini.

-Vieni con noi!

Unbuco nella camicia mostrava che il povero amico nostro fu colpito al cuore. Morìquel candido e forte giovanesenza uno di noi vicinoda dirgli: «Ne parleraia mio padre!»

Corremmoai Benedettinicercammo: nulla. Non si sa nemmeno dove l'abbiano sepolto!

Mancanotanti altri di tutte le compagnieche non sappiamo se siano mortio feriti inqualche casa. Giuseppe Naccariquel giovane alto con quella faccia dadipingereche in marcia era la delizia della mia squadraha combattuto sinoall'ultimosenza andar a vedere i suoiche l'aspettavano dall'esilioqui inPalermochi sa da quanto. E ieri l'altro una palla lo colpì di sotto in sumentre faceva fuoco da un campanile; gli entrò in un fiancogli traversòdentro il pettogli uscì da una spalla. Dicono che ne morrà. È venuto acadere sulla soglia di casa sua.

 

 

2giugno.

 

Diquei Bavaresi ricondotti da Boscone sono passati già molti dalla nostraparte. Narrano che in quella marcia del ventiquattroerano certi diraggiungerci e di finirci. Ma quando si accorsero di averci lasciati addietroeseppero che eravamo entrati in PalermoBosco fu per impazzire. Li cacciò amarcie forzate sin quipromettendo sacco e fuoconon badando a chi cadevasfinito per via. «Oh! diconose non si arrivava troppo tardi!». E fanno certefaccie che sembrano gattiquando si leccano le labbra dinanzi a unaghiottoneria. Gente torva questi mercenari! Li chiamano Bavaresi; ma sonoSvizzeriTedeschi e perfino Italiani. Promettono di battersi contro i lorocommilitonicon millanteria disgustosa.

 

 

3giugnomattina.

 

Immensagioia! Non si pensa più alle case cadutealle centinaia di cittadini sepoltisotto. I regi se ne andrannola capitolazione è come fatta. Incrociamo lebraccia sul petto e diamoci uno sguardo attorno. Ma si è potuto far tanto? Mipar di sentire qualche cosa nell'ariacome il canto trionfale del passaggio delMar Rosso.

 

 

6giugno.

 

Questimarinai della squadra ingleseci fanno cera più che i nostri del Govèrnolo edella Maria Adelaide. Verso sera quando andiamo barcheggiandoi FrancesigliAustriacigli Spagnuolii Russipersino i Turchi ci sono! tutti ci guardanocuriosima zitti. Invece gli Inglesi ci chiamanoci tirano su a occhiate sulleloro navie noi si saleaccolti come ammiragli. Non hanno bottiglia che nonvuotino con noi; non han gingillo che non ci offrano; non c'è angolo della loronave che non ci facciano vedere. Stiamo con essi dell'ore; belli o brutti civogliono ritrarre a matita; e non ci lasciano venir via senza essersi fatto dareil nome da ognun di noiscritto di nostra mano. M'è nato un sospetto. LaSicilia è bellaè riccae un mondo. Oramai tra tutti l'abbiamoo quasistaccata dal Regno... Se non si riuscisse a fare l'unitàgioco che la mano perpigliarsi l'isola sarebbero visi di stenderla gli Inglesi... - Non ci han quinel porto la nave ammiraglia che si chiama Hannibal?...

 

 

7giugno.

 

Nellagran sala della Trinacria si desinava una allegra brigataa festeggiare undrappello d'animosi venuti da Maltasu d'una barca peschereccia. Scesero aScogliettie camminando a furia di sproni e di oro vennero difilati a Palermo.

Losciampagna fiottava dai bicchieri e dal cuore la gioia; gioia della vostraoanime lombarde! Siete leggiadri e prodi.

 

 

9giugno.

 

Gliabbiamo visti partire. Sfilarono dinanzi a noi alla marinaper imbarcarsiunacolonna che non finiva maifanticavallicarri. A noi pare sognoma aloro!... Passavano umiliatio baldanzosi. Superbi i cacciatori dell'ottavobattaglione che combatterono a Calatafimi e quilasciando qualche morto in ognipunto della città! Certo li comandava un valoroso.

Sene vadanoe che ci si possa rivedere amici! Ma di qui a Napoli come è lunga lavia!

 

 

10giugno.

 

Tuköryè morto. Non in faccia al solenon sotto gli occhi nostri nella battaglial'anima sua non è volata via sulle grida dei vincitori. Egli si è spento apoco a pocoin lettovedendo la morte venire lentaegli che soleva andarleincontrogaloppando baldo colla spada nel pugno. Gli avevano tagliata la gambarottagli da una palla al ponte dell'Ammiraglio; si diceva che l'avremmo vistoancora a cavallo dinanzi a noi; ma venne la cancrena e lo uccise. Goldbergilmio vecchio sergente unghereseche giace per due ferite toccate la mattina del27quando seppe morto il suo Loyos si tirò le lenzuola sulla faccia e nondisse parola. Così coperto pareva anch'egli morto; ma forse pensava al dì chei proscritti magiari torneranno in Ungheria senza quel bello e sapienteCavalierevenuto pel mondo così prodigo dell'anima sua. O forse lo vedeva colpensiero galoppare in Armeniafra gli arabi del Sultano contro i Drusi ribelli;dove chi sa quante occhiate bicche avrà date alla spada non fatta per servire itiranni. Ma di quel dolore Tuköry si pagò poi nel sangue dei Russiquando daibastioni di Kars potè fulminare l'odio suocontro quella gente che avevaaiutato l'Austria a rovinargli la patria.

 

 

11giugno.

 

Perla via che facemmo da Marsala al Pioppoe poi essi dal Pioppo in una volatasono giunti qua sessanta giovani condotti da Carmelo Agnetta. Navigarono daGenova a Marsalasu d'un guscio che si chiama l'Utiledove avran dovuto starepigiati peggio che i negri menati schiavi. Che senso quando sbarcarono aMarsaladopo essere stati col cuore a un filo per tanti giorni; e poi quandopassarono vicino ai nostri colli di Calatafimi! Avranno pensato ai morti che vilasciammocon la malinconia di non averli conosciuti vivi. Ma quando arrivaronoa questa Palermo mezza rovinatadebbono aver sentito l'animo crescere iratoeavranno tesa la mano ognuno guardando innanzi e dicendo a qualcuno laggiù: «Civedremo!».

Hannoportato due migliaia tra schioppi e schioppaccie munizioni da guerra e i lorocuori. C'è Odoardo Fenoglio veneto da Oderzo amico miosfolgorante ufficialedella brigata Paviache ho visto e abbracciato ai quattro Cantoni; c'èCavalieric'è Frigeriotutti valenti e gentili e coltiarrivati in tempoper onorare la salma di Tuköry che oggi porteranno a seppellire.

 

** *

 

C'eravamotuttifino i feriti che hanno potuto venir fuori dalle casedagli spedalitutti! Türrfigura tagliata nel ferronon fatta a mostrar dolorecamminavaalla testa del corteodimessoaccoratoparea condotto a morire. Dallefinestre piovevano fiori sul feretrosu noi; e dai fiori e dalle foglie dilauro veniva un odore che mi faceva il senso di un soave morire. Si aggiungevanoil silenzio della follae gli atti delle donne biancheinginocchiate suibalconi e piangenti. Era uno sgomento che pareva avesse pigliato fin le pietre.Vidi certi dei nostriduri e invecchiati a ogni sorta di proveandar innanzicon faccia sbigottitaspenta. Rodi e Bovidue mutilati antichiparevanosonnambuli. Maestriche ebbe un braccio troncato a Novarae che pur da Novaracorse a Roma dov'ebbe il moncherino spezzato un'altra volta da una scheggiafranceseil povero mio Maestri da Spotornosemplice e prode come i popolanidelle nostre marine liguripiangeva. E piangevo anch'io. Un momento che mi sistrinse più il coremi pregai con certa voluttà acrenon mai provatamipregai d'essere chiuso in quel feretro abbracciato col morto. Oh! star nellabara con tanto ancora di vita da sentirsi portato lentamenteindovinando leviele finestre sotto cui si passale faccie di quei che guardano eaccompagnano fin dove possono con gli occhi e poi col pensiero! La folla faala... parlano a voce bassa... che diranno? cade qualcosa... saranno fiori.

Mala marcia funebre prorompe alta nell'ariae vien sin fra i quattro assiconcerti acuti stridori di trombecon certi gemiti di flauti che si mutano inlacrime.

AncheAdolfo Azzi morì son sette giorni! Come stava là sul Lombardo nelle ultime oredel marecolle braccia potenti al timonecon gli occhi in Bixio che di sulcassero fulminava l'anima tra Marsala vicina e le navi che ci inseguivano nerecome leonesse nel deserto! Lo veggo ancora e lo vedrò finchè io vivaconquella faccia sfidatrice e quietacon quelle spalle ampiescamiciato ed erto ipettorali fatti per ricevervi la morte da eroe. Invece fu colto in una coscia.Gli entrò la palla e ruppee in cinque giorni il povero Azzi morì!

 

 

Notte.

 

Nonnelle notti travagliate dei combattimentima ora che abbiamo una certa quietepensando alle barricate ho sentito venir su dal core un'onda della malinconiarimastami da quella sera del quarantotto; una sera di marzo che noi fanciullitutti raccolti a sentir la novella da nostra madrestavamo al focherelloallegro che pareva anch'esso uno della famiglia. Suonò un'ora di notte e il Deprofundisdal campanile. Nostra madre ci fece pregare pei morti. Ma i soliti rintocchisi mutarono in un di quei doppiche lassù da noi annunziano pel domani lacommemorazione di qualche morto degli anni andati. Nostra madre alzò i suoigrandi occhi in suforse a cercare di qual morto de' suoi ricordi cadessel'anniversario; e noi muti ad aspettare che ripigliasse il racconto. A un trattoentrò da fuori nostro padree venne malinconico a sedersi al fuoco.

-Che c'è? gli chiese nostra madre.

-Nulla!

-Giusto! Han suonato a funerale; chi sa per chi?

-Pei defunti delle barricate di Milano.

Guardainostro padre tremando. DefuntibarricateMilanotre schianti al mio core dinove annimi parevano tre parole sonanti da un altro mondo. Quella notte nondormii: da quella notte mi rimase nell'anima una tristezza carache di quandoin quando assaporaivenendo su cogli annisenza poterle dare un nome fin chenon ebbi trovato nel Sant'Ambrogio del Giusti quello sgomento di lontanoesiglio...

 

 

Tornandoda Monreale14.

 

Deveessere stato un gran vivere nei tempi che su questo ceppo della Sicilia venivanoa innestarsi i Saracenii Normanni e poi quegli altri d'alta venturacheportavano l'aquila sveva sul pugno!

Pìgliaticolla fantasia in quell'età una parteguerrierorimatore o fraticelloedentra; ecco la Cattedrale famosa. Tant'ès'ha bel disporsima noi sentiamoche non si riesce a star nelle chiese come quella làcon animo che risponda.Disse un di noi: «Bisognerebbe non osar d'entrarvi calzati...». Fu tuttal'espressione della sua maraviglia! Un altroquando ebbe guardato un pocoattorno le colonne e laggiù il gran mosaicosi lasciò andar ginocchioni congli occhi in sufacendo colle braccia e a mani giunte un arco sopra la testaverso quelle volte; e l'atto gli parve preghiera.

Es'esce di là che uno si sentirebbe potente a far qualche cosa degna; ma noquello che per capirci chiamiamo coda del diavologli si ficca tra piedi. Noiper esempioappena fuori avemmo una mezza rissa.

Benedinida Mantovanostro medicotutta la via aveva brontolato che a Monreale ciandava di malavogliaperché sapeva esservi stato detto di noiche siamovenuti a mangiarci l'isolae che bisognerebbe sonarci le campane addosso.

Enoi a dirgli: «Chetatison cose da celia...» non ci sognando che cosa glifrullasse. Ma lui? In chiesa s'era stizzito di più; e uscendoal primo che glicapitò di vedere con aria non di suo genio: «Sei tu che ci vuoi fare i vespri?».

Coluiche pur non era uno zoticotra il capire e il nosembrò viso di voler dir disì. E Benedini gli menò. Oh che guaio! Se non capitava pronto un preteaddio!

Venendoviane dicemmo a Benedini...! Ma egli tranquillogli pareva d'aver fattol'obbligo suo.

 

 

Conventodella Trinità15.

 

Ho visitatoil colonnello Carini in una cameretta lassù e dell'albergo alla Trinacria. Dovese n'è andata tutta quella floridezza di carni? Tenendomi per la mano mi chiesedel Dittatoredella compagniadegli amici; poi d'improvviso: - C'eravate aifunerali di Tuköry? - Colonnellosì. - Egli guardò intorno e mi strinse piùforte la mano.

Duegiovinetti gli stanno in camera senza lasciarlo maitutti lui negli occhibrillanti di lagrimerattenute appena mentre egli m'aveva chiesto se ero statoai funerali. Quando egli partì esule nel quarantanovequei suoi figliuolidovean essere bambini affatto. Vennero da Messina coll'agonia di abbracciarlodi trionfare con lui vincitoree lo trovarono inchiodato da quella maledettapalla bavarese.

Perle stanze va lentamestauna signora che deve aver molto sofferto. E quandos'incontra con gli occhi negli occhi del colonnellopare che la pigli ilsinghiozzostenta a non farsi scorgere. In verità egli è molto giù dellavita. Oh che storieche luttiche vedovanze del core!

Vennivia afflitto. E per contrasto trovai che correva su quel frullino del figliuolodi Ragusasempre nelle nostre gambe vispofelice. Suo padreche conducel'albergo da gran signorene' giorni del bombardamento tenne corte bandita pernoichi avesse voluto passar da lui a ristorarsi. Ma c'era ben altro da fareepochi vi possono essere capitati: tuttavia ce ne furonoed io so d'uno che cideve aver fatto la figura di Margutte.

 

** *

 

Curvettopiccinotarchiatopasso da marinaiocapelli bianchi e lunghibarba fattaindovinata per parere quella del Generale; Gusmaroliil vecchio parrocomantovanopuò dare un'idea di quel che sarà Garibaldi fra una ventina d'anni.

L'hoben guardatoè proprio così. Ed egli che sa di somigliargli un pocone godee si riscalduccia in tale compiacenza; egli nei tre giorni si atteggiava. Ipicciotti che lo vedevano comparire sulle barricate qua e làgli gridavano:Evviva Garibaldi! E sotto gli occhi di lui combattevano e morivano volentiericredendolo il Dittatore.

 

 

16giugno.

 

IppolitoNievo va solitario sempre guardando innanzilontanocome volesse allargare aocchiate l'orizzonte. Chi lo conosceviene in mente di cercare collo sguardodov'ei si fissase si cogliesse nell'aria qualche formaqualche vista di paesedella sua fantasia. Di solito s'accompagna a qualcuno delle Guide: MissoriNulloZasioTranquillini; ed oggi era con Mancia cui veggo negli occhi ilaghi del Tirolo verdeov'ei nacque. Quando incontro costorovestiti ora d'ununiforme di garbo un po' ungheresebellogià illustrato nel quarantanovedalla cavalleria di Masina in Romaio mi sento nascere di dire: «Uno di voi mivorrete in groppa quando galopperete per i campi nella battaglia?». Vorreiprovare a un di quei cuori il mio. E sceglierei Manciche mi pare un cavalieronon ancora vissuto in nessun poema. Non è l'Eurialo di Virgiliononquell'altro dell'Ariosto; è un non so che di modernonemmeno: è unagentilezza dell'avvenire.

ConManci veggo sovente quel Damianichese fossi scultoregetterei in bronzolui e il suo cavalloaltipiombati sopra un viluppo di teste e di bracciaquale mi rimase impresso a Calatafimi nel momento della bandiera. In Palermonel secondo giorno del bombardamentolo vidi appoggiato a uno stipite d'un granportone del palazzo Serra di Falco in Piazza Pretoriaforse là pronto pelGeneraleperché nel portico scalpitava il suo cavallo sellato. - Quella era lafaccia di Calatafimi. Mentre che io passaiegli parlava tra sé. E mi parve cheguardasse ora il palazzo dov'era il Dittatoreora il convento di Santa Caterinalì allatoche ardeva dal tetto e vi cadevano le bombe. Forse pensava comeavrebbe potuto salvare Garibaldise uno di quei mostri fosse piombato pochipassi più oltre...

 

 

Palermo17 giugno.

 

Nongli ho vistima so che da giorni sono venuti dalla Favignana sei o sette diquei di Pisacanescampati all'eccidio di Sapri. Dunque erano in quelle Egadiche pareano scoppiate su dal mare improvvise a festeggiarci? Erano nelleprigioni sottomarine. Che fremitoseper uno di quei sensi misteriosichetalora si rivelano in noi come guizzi d'una vita di natura diversa dall'umanaavranno indovinato che là fuorisull'onda che rumoreggiava spruzzando le loroinferriatepassava Garibaldi e la libertà.

Oprecursori nostriquante lacrimequanto fantasticare dopo il vostroinfortuniodopo Sapripiù bellopiù glorioso della nostra Marsala! Treanni! pareva un secolo; e di lassù dalle Alpi era un volo dell'anima sitibondaverso queste terre delle Due Sicilieche sin col nome invogliavano e coi mari ecoi cieli e coll'istoria loro e con quel canto della Spigolatrice messa dalpoeta sull'orme vostrea veder gli occhi azzurri e le chiome d'oro di Pisacane!Dopo i BandieraCorradinoManfredibiondi tutti e belli e di gentile aspettolui.

 

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Midice Antonio Semenzache tra le carte del Palazzo Reale fu trovato l'ordinedato da Napoli alla flottase ci avesse incontrati. - Colarli a fondo salvandole apparenze. - Sarà vero? Infatti saremmo stati troppi alle forche e agliergastoli; ma che nella marineria napoletana ci sarebbe stato un cuore daobbedire e annientarci?

 

 

18giugno.

 

Ecolui dalla faccia tagliented'occhi e d'atti che pare il falco reale; grigiocastagnogrinzosofrescoche ha tutte le età; chi èquanti anni porta inquelle sue ossa d'atletain quelle sue carni segaligne? L'ho sempre veduto daMarsala in qua e osservato con certa reverenza. E ho immaginato che debba esserequalcosa come zio o fratello maggiore di Nullo. Ma oggi ne chiesi. E noto perchémi sia d'insegnamentoche Alessandro Fasola da Novara ha sessant'anni fatti;che dal 1821 ne ha spesi quaranta a lavorarea sperarea combattere; chesempre da Santorre Santarosa a Garibaldi fu visto comparire alla chiamatagiovaneardente e sicuro.

 

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Anchei carabinieri Genovesi come sono usciti belli nelle loro divise! Un farsetto eun berretto d'un azzurro delicato che rialza la espressione di quelle faccesignorilinon so se sciupate o abbellite dal bronzeo che dan questi solipenetranti nel sangue.

Tuttivorrebbero farsi carabinierima non tutti si è Genovesi. Si capisce. V'è unacerta aristocrazia del valoree quelli là che se la sentono nel cuoreedegnamentevorrebbero star soli. E non ho inteso un della mia compagniae nondei miglioridire che il Dittatore dovrebbe tenerci tutti senza che altripotesse mescolarsi con noi di Marsala; e mandarci sempre avantiavantiavantifinché uno ne fosse vivo?


 

[DAPALERMO A MILAZZO]

 

 

18giugno.

 

Partirenon condotti dal Dittatore! Eppure egli ha sulle braccia la rivoluzionelaguerratuttoanche gli arruffapopolie deve star qui. Con lui lavoraFrancesco Crispiun ometto che quando lo veggo mi fa pensare a Pier delle Vignepotente. Ma lontani da Garibaldi saremo ancora con lui. «Andate di buon animoci disseandate figliuoliche vi ho dato Türr. Se avrò bisogno di voieglivi condurrà volando da me». Eppoimessosi a parlare genovese con alcuni dinoi liguriparve pigliasse un piacere fanciullesco in quel dialetto che parlanoBixio e i Carabinieri.

 

 

21giugno.

 

Medici èarrivato con un reggimento fatto e vestito.

Entròda Porta Nuova sotto una pioggia di fiori. Quaranta ufficialicoll'uniformedell'esercito piemonteseformavano la vanguardia.

Lamia brigata è partita per l'interno dell'isolacondotta da Türr. Noi dellaspedizione dispersi nell'onda dei sopravvenientiporteremo con noi le memoriedei venticinque giorni vissuti come nella solitudinefaticandocombattendo ecredendo. E tireremo innanzi visitando l'isolafacendo gente e pellegrinandofinché ci arresti il nemico e si torni al sangueo si finisca fondendoci tuttinelle sorti e nell'onore d'Italia.

 

 

DaPalermo a Missilmeri22 giugno.

 

Duecavalli bianchi e baliosi che starebbero bene tra le gambe di due dragoniciportano viatirando questa carrozza da prìncipi. Romeo Turola sonnecchiaionoto.

Horiveduto Porta Sant'Antoninoil Convento e quella muraglia che all'alba del 27maggioquando venimmobalenava e tuonava come una nuvola tempestosa. I duegrandi pioppia pié dei quali quel mattino vidi il primo napoletano mortotremolavano sino all'ultima foglia con un sussurro allegro quasi consapevole.Passandovi sottopensai raccapricciando a quel mortoa quella povera montanaradella Calabria o dell'Abruzzo che si farà sulla soglia della capannacon unapaura confusa della guerra che c'è pel mondodove forse crede ancora di avereil suo figliuolo soldato. E pensai anche ai prìncipi di Casa Borboneche sinoad ora non se n'è visto uno a cavar la spada.

Mivolgo indietro. Palermo è laggiùlaggiù come la vedevamo da GibilrossadalParcodal Passo di Rennama ora libera nella sua gloria fra le sue rovinedigiorno e di notte tutta un festino. Partendoho inteso che già sono arrivaticerti armeggioni a guastare. Ve ne erano forse fino dai primi giorni dellacapitolazione. Quella sera che ci raccolsero in fretta e in furia e ci tennerosotto l'armi delle orein via Maquedache cosa era stato? Mi disse Rovighi chesi parlava d'una alzata di La Masaper togliere a Garibaldi la Dittatura eassumerla lui gridato dal popolo. Era una calunnia: ma il fine?

 

 

Missilmeri22 giugno.

 

Questopopolo che ci ha fatta la luminara la notte del 25 maggioquando eravamo pochie con poche speranzeadesso non ci riconosce più. Ma che cosa abbiamo fatto?Non lo dicono e non si può indovinarlo. Parlanosorridonosono gai;discorrono con noima a gesti impercettibili se la intendono tra loro. Cheabbiano dentro parecchie anime?

 

** *

 

Orasi va pigliando davvero un bel fare da soldati. Il gruppo d'ufficiali che hovisto in piazza sarebbero l'onore del primo esercito del mondo. Tutti nel bellodai venti ai trent'annipersone saldefaccie che vi si legge il coraggiosemplice e franco; mediciingegneriavvocatiartisti. Ma se fossero tutticome Daniele Piccinini! Che addio deve essere stato quando si partì dal padresuo! Immagino il vecchio austero sulla porta della sua Pradalungaintento aguardare il figlio che gli ha dato le spallee se ne viene giù verso Bergamocon passo da Clefta. Non l'hanno guasto nè l'ozio nè i vizii costui: la storiadella sua giovinezza l'ha in fronte; forse più che caccie e corse su in alpenon ebbe altri spassi. A Calatafimi fu visto coprire il Generale mettendoglisidinanziperchécome indossava camicia rossaera fatto segno alleschioppettate. E in uno dei momenti che la battaglia parea volgere a maleeglitenne alto l'animo dei suoi vicinigridando parole potenti come d'arcangelo.

 

 

Missilmeri22 giugno.

 

Ilgenerale Türr gli si è riaperta la feritae ha dato sangue dalla bocca. Daquando entrammo in Palermoquest'uomo ha fatto tanto che si e ridotto un'ombra.La brigata è afflittaperché si teme che egli debba lasciarci. Lo vidi unistantesmuntopesto negli occhile labbra pallideil petto che pareschiacciato. Ma che sia davvero quel sottotenente degli Ungheresi passati nelmio villaggio l'anno quarantanovedopo la battaglia di Novara? Li ricordo comeli vedessi ora. Erano forse cento bei giovaniche portavano una gran bandieratricolore; le loro persone alte s'avanzavano mezzo nascoste nel polverìo dellastrada al sole di marzoe quando imboccarono il ponte gridarono: Elien Elien!alla gente corsa ad incontrarli. Quel sottotenente in mezzo a quei soldati mipareva tanto allegroe tuttavia mi si stringeva il cuore sentendo dir da miopadre: Sono Ungheresigente che l'Austria fa patire!

 

 

Villafrati24 giugno.

 

Passavanobaldi su certi stalloni nericarboni accesi gli occhile criniere che davanosui petti. Tenevano alte le teste guardandoci appenaavevano gli schioppi atracollapistole e pugnali a cintolanastri essi ai cappelli e all'arnesedelle cavalcature. Il capo che camminava innanzi non mi tornava nuovo. IVillafratesi che discorrevano con noi li guardavano incerti tra il salutarli enon badarli; ma mi accorsi che qualcuno ammiccòqualche altro scambiò conessi quei certi cenniraggrinzamenti della fronted'una guanciadel mentodiavolerieche a costoro bastano per un discorso.

-Chi sono quei sette? chiesi ad un signore.

-Patriottisignorinonon avete visto? Hanno i tre colori.

Unaltro lo guardò bieco: un lampo.

Intantoquei sette giunti in capo al borgo misero i cavalli a trotto serrato.

Madal quartiere del Generale uscì fuori un tenente spronando dietro di loroepresto lo vedemmo tornare con quei sette disinvoltibeffardiaccigliati. Iltenente gli aveva presi colla pistola alle tempie del capocciapronto se nonavessero obbedito...

Ciaffollammo in quella casa dov'era già un gran brusioe potemmo udire la vocedel generale Türr corrucciato pronunciare il nome di Santo Mele.

-Santo Mele? dissi ioma costui è quel birbante che avevamo prigioniero alPasso di Rennae che gli riuscì a fuggire. Berrebbe il sangueladroassassino!

Aquest'antifona il signore che aveva detto bene di quei sette sparì senzaneanche dirmi: Bacio la mano.

Udimmobisbigliare: Consiglio di guerra subitaneo; e comparve il maggiore Spangarounuomo d'età seriagià brizzolato capelli e barbaufficiale nella difesa diVenezia. Presiederà il Consiglio.

 

 

Villafrati26 giugno.

 

Hovisto partire in gran fretta il battaglione Bassini. A Prizziche deve essereun villaggio poco lontanovi è gente che si è messa a far sangue e robacomese non vi fosse più nessuno a comandare. Il padre Carmelo sapeva quel chediceva quando ci parlammo al Parco. Quaggiù vi sono beni grandima goduti dapochi e male. Panepane! Non ho mai sentito mendicarlo con un linguaggio comequesto della poveraglia di qui.

Bassinisi è messo in marciama non dell'umore suo di quando odora il pericoloQuestobrontolone gaiosenza gingillidi corteccia grossaha un cuore che parladalla faccia burbera e bonaria. Agita la testa rasagrigianocchiosa come unamazza d'armi da picchiare sul nemico. Avrà forse un mezzo secolo ormaieppureè più giovane di noie a Calatafimi tenne la sua compagnia come a una festa.I suoi ufficialitutti signori di Lombardiagli stanno sotto come un padre. Sein Prizzi gli occorrerà di dover parlare di leggeha nel battaglione i dottoria dozzine; se vorrà fare un'arringai letterati gli stanno attorno; ma eglibreve e tagliente parlerà colla spada. Chi laggiù ha le mani lorde badi aifatti suoi.

 

 

Villafrati26 giugno.

 

Enon ci è stato verso di trovar uno che abbia voluto dire la verità! Iltestimonio che abbia detto più male di Santo Meledinanzi al Consiglio diguerrafu Santo Mele.

«Iobrigante? Eccellenza! Ho combattuto contro i borboniciho dato fuoco alle casedei realistiho ammazzato birri e spiedai primi d'aprile servo larivoluzione: ecco le mie carte!».

Ene buttò là un fasciobollate dai Municipi dov'è passatotutte che nedicono gloria come fosse Garibaldi. Ma il Consiglio non lo mandò libero. Costuipuzza troppo di sanguee a Palermodove sarà condottoqualcuno gli faràempire il cranio di piombo.

 

 

Villafrati27 giugno.

 

Èarrivato il colonnello Eberd'aria tra soldato e poeta. Si sa che è Ungheresee che il 26 maggio venuto da Palermo a Gibilrossa per veder Garibaldivolleessere dei nostri a tornar a Palermoquel bello e terribile mattino del 27. -Viaggiatore di gran lenaegli ha corso l'Asia per ogni versoscrivendo pel Times.Ora eccolo nostro comandanteperché Türr se ne va malato rifinito.

 

 

RoccaPalomba28 giugno.

 

Cheveglia deliziosa a pié del Maniero di Morgana! Stanchi della camminata d'ottoorei soldati dormivanopei campiin un silenzio che mi parea d'esser solo.

Questecampagne come hanno fatto a diventar deserte?

Siva delle ore senza vedere una casa. Contadini? Non ve ne sono. I coltivatoristanno nei villaggigrandi come da noi le città; vi stanno in certe tane gliuni sugli altricon l'asino e le altre bestie men degne. Che tanfo e che colpe!All'alba movono pei campi lontanivi arrivanosi mettono all'opera che quasiè l'ora di tornare; povera genteche vita!

RoccaPalomba è come tutti gli altri borghima a vederla da lungi adagiata su questofianco del montemezzo nascosta nei boschi di mandorlicon quella strada chesi curva dolce per farvi arrivare la gente senza faticapromette di più.Trovammo gli abitanti in festa. Avevano mandato ad incontrarci un nugolo dicavalieriche vennero innanzi drappellando bandierelevando gridasalutefratelli! Parevano gente del medioevo rimasta viva proprio per aspettarci. Queisignori ci fecero gli onori del paesecon modi non da persone accostumate avivere così solitarie. Ma certe gentilezze s'hanno nel sangue. Però semprequella storia! Se un borgo ci accoglie benequello che viene dopo ci tiene ilbronciopoi l'altro appresso torna a farci festa. Qui c'erano i preti e ilMunicipio alle porte; la banda suonava l'inno; sulle alture ardevano fuochi digioiai signori si contendevano gli ufficiali; i soldati ebbero panecaciovinocarezzeil paese in capose l'avessero voluto.

Iopoi càpito sempre in casa di preti. Questo ch'è qui mi ha voluto far toccareil vangelo. Ma ioaperto il volumelessi due versetti e glieli voltai tradottilì lì. Allora il prete mi si buttò al colloe fece correre tutta la famigliaa conoscere il gran cristiano che aveva in casa. Desinai con loro. Vi eranodelle donnedelle fanciulledei bambinidei vecchi e dei giovaniuna tribù.Pareva il dì del Natale. Mi lasciarono venir in camera a malincuore; in questacamera allegra dove è un letto che pare di gigli. E tu coi tuoi peccatioseresti andare fra quelle lenzuola?

Bassinici ha raggiuntimortificato luigli ufficiali e i soldati. Furono accolti aPrizzi come prìncipi. Luminareceneballi e le belle donne che gridavanoancora da lungi «benedetti! beddi!».

 

 

Alia29 giugno.

 

DaRocca Palomba ad Alia una marcia breveattraverso una ricchezza che va dalpiano sino in cima ai collidorati ancora da messi che si curvavanoquasi ariverire la nostra rosseggiante colonna.

 

 

30giugno4 ore antim.

 

Siparte. Ah! questa volta la marcia sarà lungae pare che il cielo si vorràfare di fuoco. I soldati vanno e vengono per le vie sudiciecittadini se neveggono pochiscamiciatiindifferentialle finestre. Passano due pretisalutando; se ne andranno in chiesa. Ecco la tromba. Chi l'avrà trovata questabella diana dei bersaglieri piemontesi? Certo un musico d'animo allegro eardito: c'è un pensiero così sano! Forse è del colonnello Lamarmora. Scuotedi dosso il sonno e la pigriziafa correre pei nervi un gran bisogno di fare.La intesero gli Austriaci tante voltela intesero i Russi in Crimeanoil'abbiamo portata qui nell'isola vecchia di Vittorio Amedeodove già i monellila cantano come cosa loro.

 

 

Vallelunga30 giugno pom.

 

Cihanno raggiunti parecchi amici da Palermoe dicono che vi arriva gente da'porti di Liguria e di Toscana ogni giorno. Vi furono quasi dei guai per certafretta messa ai Palermitani di darsi al Piemonte; ma il Dittatore tiene a segnotutti.

Scrivoin una cameretta dove mi par d'essere un grillo in gabbia. Ma se mi affaccioveggo tutta la via grandee una allegria di soldati rossie gli ufficiali chefumano e bevono seduti innanzi al casino di compagnia. Come si fa presto apigliar l'aria di questi signoriche forse stanno lì tutto l'anno a tirar giùdal cielo il tempo e la noiaa ridere e a giuocare! E mentre che la terrafruttaessi fanno idillii e tragedie per donne. Ho inteso di bellissime storieverseggiate dal popolo che qui è tutto poeti; storie d'amore e di sangueversato per gelosie tremende.

 

 

SantaCaterinal° luglio.

 

Ebersa condurre una colonna senza affaticarla. Divide la marcia in due: nelle ore disera si vasi accampa dopo un bel trattosi riprende la via prima dell'alba esi arriva dove si deve nel bello della mattinataquando il sole non s'è ancoraavventato. Così la notte scorsa ci riposammo nei campi della Cascina Postalecon un tempo dolcecon un sereno che mi parea di vedere mille volte più lunginelle profondità del cielo.

Stamanementre il sole spuntava camminavamo già da un par d'ore. Le compagnie cantavanocanzoni popolari lombarde e toscane; i siciliani gareggiavano con un loro cantod'aria che cercava il core.

 

La palombellabianca

Si mangia laracina.

 

Maa tratti quella melodia scoppiava in versi di odio al Borbonedi spregio allaregina Sofia.

Allatesta della colonna i Genovesi cantavano l'inno alato di Mameli. A un trattoruppero il cantoe lo cessavano tutti man mano che arrivavano a un certo puntodella via. Quandov'arrivai anch'io capii. Da quell'apparita si vedeva laggiùlaggiùnero sterminatocrescente all'occhio e alla fantasial'Etnachecoll'ombra sua si protendeva su mezza l'isola e sul mare.

 

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Ilpovero maggiore Bassini l'hanno pigliato pel giustiziere. Egli dovrà partire dinuovo per un villaggio chiamato Resotanodove alcuni tristi fanno tremare lagente.

 

 

Caltanisetta2 luglio.

 

Sicalunniano tra loro borghi e città come godessero gli uni del mal degli altri.A sentirequi dovevano essere schioppettate. Invece trovammo tutto un parato dibandiere e di verde. Ci toccò passare sotto un arco trionfale noile autoritàla Guardia Nazionale venuta ad incontrarci. I giovinetti volevano ad ogni costolo schioppo dai nostri soldatitanto per alleggerirli l'ultimo tratto: ma isoldati rifiutarono la cortesia. Forse qualcuno si ricordò di quando eravamopei campi nei primi giorni dopo lo sbarcoche si dormiva collo schioppo tra lebraccia e le gambe incrociatee alcuni se lo legavano al corpodalla paura disvegliarsi disarmati. Sicuro! Allora v'erano dei contadini che per avere un'armasi arrischiavano nei bivacchi a rubarla.

 

 

3luglio.

 

Chequella festosa accoglienza di ieri fosse una lustra? Oggi la città èsilenziosa; pare che noi non ci siamo più; la gente attende alle cose sue comedicesse: Ho fatto il dover mio e basta.

 

** *

 

Queidi Bassini sono tornatirotti dalla marcia di quattro giorniper vie dalasciarvi le polpe. Narrano che capitati a Resotano intorno alla mezzanottevitrovarono il popolo in armi risoluti a non lasciarli entrare. Bassiniuomo dadar dentro a baionetta calataprocedé cogli accorgimentie poté mettere lemani addosso a undici scelleratirei di mille prepotenze e di sangue. Uno riuscìa fuggirema un siciliano come un demoniolo cacciò lo arrivò e l'uccise.

 

 

5luglio.

 

Fattii contidei siciliani che ci seguirono da Palermo in quaun mezzo centinaio sene sono già andatialcuni portando via anche le armi. Sono contadini che siaccendono come paglia e presto si stancano. Il Consiglio di guerra li condanna amorte; si appiccano le sentenze come lenzuola alle cantonatema si lascia che icondannati se ne vadano alla loro venturapurché lontano. I buoni sono quellidelle città e i Palermitanigiovani coltiamorosipieni di rispetto.Malveduti sono alcuni ufficiali che paiono chierici. Quando le compagnie vannoagli eserciziile accompagnano portando le spade come torcetti poi si tirano indisparte e par loro d'essere sciupati nel dover assistere a quelle bassezzedell'imparare come si maneggia un'armacome si muova ordinati. Se fossero statil'anno scorso in Piemonte! Giovani dei migliori di tutta Italia si lasciavanostrapazzare da quei caporaloni grigi che parlavano di Goitodi NovaradellaCrimeae insegnando lanciavano insolenze peggio delle guanciate. Purd'impararesopportavano tutto quei giovani. Ricordo d'un Conte veneto checaricava su d'una carretta lo stramedella scuderia. Passò il caporal Ragnicon la gamella in mano.

-Bestie tutte come voi nel vostro paese? Chi v'ha insegnato a maneggiare ilbidente?

IlConte rispose sorridendo non so chein italiano.

-Ah! siete un volontario? Allora che cosa è questa?

-Una gamella.

-La patria! urlò beffardo il caporalebattendo le nocche su quell'arnese dilatta. Il Conte sorrise ancora. E il caporale:

- Staserafarete il saccoe passerete a ridere in prigione..

-Sissignore.

 

 

Caltanisetta7 luglio.

 

Festeda fate. I viali del giardino parevano di fuoco; il verde degli alberi e dellespalliere luccicava di splendori metallici; le donne di Caltanisetta coi mariticoi fratellicon noiparevano una famiglia innumerevole che si rallegrasse làdentro di qualche lieta avventura. Rinfreschivini e dolciumitanto dasatollare per una settimana tutti i poveri della città.

 

 

Castrogiovanni10 luglio.

 

Maperché ci hanno fatti camminare traverso i montiper sentieri che è miracolose nessuno vi lasciò la vita? Vero è che abbiam veduta la pingue campagnaunacoppa d'oro. Quei bovi che pascolavano per le prateriefiutavano nell'aria ilnostro passaggioe la fila interminabile di rosso dava loro negli occhispaventati. Un toro inseguì due dei nostri sbrancati e vaganti forse in cercad'acqua. Li vedemmo correre su per un'ertacolla formidabile testa del furiosoanimale due passi dalle reni. Un d'essi poté arrampicarsi a un alberol'altrotirava sempre a correre su d'una ripa dove il toro lo avrebbe arrivato. Senonchéun boarogaloppando curvo che la sua testa era tutta nella criniera delcavallogiunse coll'asta calata e vibrò nel fianco alla bestia come unlanciere. Il toro fuggì muggendolanciando zolleflagellando l'aria collacoda rabbiosamente.

 

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Iopensava che quando eravamo a Gibilrossaora un mese e mezzofurori messi ipartiti d'assaltare Palermo o di ritirarsi qui su quest'ambaper ordinarvi larivoluzionefarsi forti e ripigliare la guerra. Quasi tutti i capitanipropendevano per questoma Garibaldi no. Volle Palermo. Forse indovinava cheritirati quassù avremmo avuto tempo a languire un po' ogni giornofinché larivoluzione si sarebbe spentae noi con essa.

 

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Scrivoa pié d'un castello che un tempo dominava la città. Ora è carcere dove fuchiuso un sergente della compagnia di Agesilao Milanoche n'uscì cavato dallarivoluzionema canutocurvospentosi senza la forza nemmeno di potersirallegrare del suo paese. Così mi hanno narrato ed io noto. E noto che veggo illago Pergusa a un cinque miglia da qui. Pare un pezzo di cielo caduto in mezzo apraterie fiorite. Circa lacus lucique sunt plurimi et laetissimi flores omnitempore anni: dice Cicerone parlando d'Ennal'antica città ch'oggi èCastrogiovanni. Lo lessisaran sei anninelle Verrine. Chi m'avrebbe dettoallora: Vedrai quei luoghi?

 

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Infaccia a CastrogiovanniCalascibetta sicuracupasul monte che par tuttobasaltirotto d'anfrattifulminato.

Nellavalle il fondaco della Misericordialugubre nome che fa luccicare lame dipugnali agitate nella notte da masnadieri.

Veggolaggiù la nostra artiglieriai carrile sentinelle e un brusìo di soldatirossi. Non vi deve essere un alito. Quassù invece una brezzolina che sfiora laguancia soave.

 

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Notiziedi Bixio. Conduce la sua brigata per l'isola sulla nostra destra. Ha riveduto ilParcola Piana de' GreciCorleone; prosegue alla volta di Girgenti. Là icompagni nostri vedranno le ruine dei templi che piacquero a Byronnellasquallida landa sotto cui dorme un gran popolo. Il mandriano guarda indifferentequelle file di colonne silenziosee il navigante si inchina ad esse da lontano.

 

 

Leonforte11 luglio.

 

Ilcapitano Faustino Tanara soloritto su d'un poggiologuardava co' suoi piccoliocchi l'orizzonte largo; pareva un aquilotto che stesse cercando una direzioneper provarsi a volare. Sulla sua faccia ride l'anima franca e arditama non v'èmai allegrezza piena. Eppure la certezza d'essere amato da tutti dovrebbe fargligettare sprazzi di luce dal core. Che dolce natura! Il più meschino soldato gliè carissimopersin Mangiaracinaun siciliano di non so che borgo dell'Etnatestone che pare un maglio in una parrucca fatta di pelle d'orsoe ha gli occhisotto certe grotteda dove guardano come due malandrini appostati. Un dì vidiTanara in collerastanco di Mangiaracina che butta le gambe come un ippopotamoe fa rompere il passo alla compagnia. Gli prese l'orecchio e pizzicando glidisse: «Ma tu perché ci sei venuto con noi; e l'Italia che se ne deve faredella carnaccia tua?». Mangiaracina gli si empirono gli occhi di lacrimeeguardando il suo Capitano come fosse stata la Madonnaumile e dolce rispose: «Cabedanoci aggio 'no core anch'io». Tanara gli strinse la mano.

Egliha trent'anni. In battaglia si trasforma. La sua persona nervosa guizzascattasquarcia come saetta nelle nubi. Allora tutti lo ammirano; si teme di vederlol'ultima volta: dopo si rincantuccia malinconico; non gli si può cavare unaparola.

 

 

SanFilippo d'Argiro12 luglio.

 

Partimmo daLeonforte col fresco delle due dopo la mezzanotte e camminammo lenti sino allalevata del sole. Allora ognuno diede una scossa come fanno gli uccellie volòcoll'anima per gli orizzonti dell'isola. Le solite vedute. Boschi di mandorlicome da noi i castagneti; terreni che dovrebbero gettar oro; qua e là gruppi dicontadini che ci guardavano accidiosi e pensando chi sa che cosa di noi.

SanFilippo è una cittadetta gaiae ci si dice che di qua al mare sia la piùbella parte dell'isola. Arrivammo che una processione rientrava in chiesa da nonso che giro fatto per chieder pioggia.

Correvoce che una colonna di regi usciti da Siracusa ci attendono verso CataniaDev'essere vero perché si partirà fra poche ore. Una battaglia là dovepugnarono gli Ateniesi di Nida; o a' piedi dell'Etna dove si svolsero tantidrammi delle guerre servili? E Garibaldi non è con noi! Ma se nel forte delcombattere arrivasse da Girgenti Bixiocome un uragano?

 

 

Adernò14 luglio. Pomeriggio.

 

Hofatto tutta la marcia con Telesforo Catoni che sin da Marsala desideravo d'averamico. Egli era della compagnia Cairoli e studiava leggi a Pavia. Ha nellapersona qualche cosa che attrista; non si sa perchéma si sente certacompassione di lui. Una capigliatura nera lussureggiante; un par d'occhi chesaettanograndieloquenti; una testa che potrebbe essere piantata su d'unatleta; e invece una esilità di membraun torso tenue che a un soffio dovrebbepiegare. Eppure non è stato addietro un passomai. Sta quasi sempre solo;adora Foscolo e il carme dei Sepolcri che sa a memoriae se ne pasce come d'uncibo leonino. Camminando meco recitava i versi di Maratonache detti da luinella nottein mezzo alla colonna che marciavami parvero i più bellii piùforti da Dante in qua. Cantoni ha molto del foscolianoe chi ponesse il suoritratto per frontespizio nell'Ortisognuno direbbe che certo il povero Jacopofu così. Ha diciannove anniè Mantovano come Nuvolaricome GatticomeBoldrinitutta gente bizzarra e valenteche hanno un po' del Sordello.

 

 

Paternò14 luglio.

 

DaAdernò a Paternòuna camminata in faccia all'Etnache da Santa Caterina nonsi è più perso di vista. Per la falda che par si rigonfi infinitatrionfanoboschi di verde cupodai quali si libera e si lancia il gran montebrullo finoalla cimabianco di nevealto che il fumo del cratere vi galla sopraaccidiosocome se non potesse salir di più. Dorme il gigante che conta glianni dalle sue furie e dai popoli che ha disfatti. Sono tanti e che storie!Eppure spesseggiano nelle macchie i villaggilasciando indovinare da lungi lagente felice che deve abitarli.

 

 

Catania15 luglio.

 

Credevad'entrare in una città di Ciclopima appena oltre la porta minacciosa per imassi di cui e formataecco la via lunga fino al mareampialavatafrescacome vi dovesse passare la processione del Corpus Domini. Eravamo un drappelloche precedemmo la brigata e i primi fiori gli avemmo noi. In piazzadell'Elefante una sentinella chiamò la guardiadieci o dodici giovinottibalzarono a schierarsipresentarono l'armi facendo le faccie fiere. Sono gentedel paese intornoraccolta da Nicola Fabrizi.

 

** *

 

Entròla brigata. Eber cavalcava alla testale compagnie camminavano franchecon glischioppi che uno non passava l'altrocon una cadenza di passo da vecchisoldati; davano piacere a vederle.

Staremoqua riposando alcuni giorni. I borbonici di Siracusa e d'Agosta non si sonomossi; ma bisognerà vegliare perché siamo in mezzo ad essi e a quei diMessina.

 

 

17luglio.

 

Hobell'e visto; questi per noi sono gli ozi di CapuaCatania ha dei profumi cheaddormentano. Siede come Venere nella conchigliaspossata dal godimento d'uncielod'una campagnad'un mareche sembrano fondersi insieme in una sola vitaper farle delizia. Si sente una soavità d'aura anacreonticasuvino e rose!Lampeggiano gli occhi delle donne uscenti dai templi come Deecolle vestibianchei manti neri di seta fluttuanti dalle trecce per le spalle. E noiguardiamonoi beviamo l'incanto ammirando.


 

[DAMILAZZO A MESSINA]

 

Dov'èche cosa è Milazzo? Sono corso a vedere la carta; eccolo tra Cefalù e il Farouna lingua sottileche si inoltra e par che guizzi nel mare.

D'oggiin là quel po' di terra scuracol castello di cui sento parlarenon mi verràmai vista con la fantasia tra l'acque azzurresenza che la visione si mescolidi file rosse correnti come rivi di sangue in mezzo al verde dei fichi d'Indiapei cannetinel letto secco dei torrentisulla riva del mare torrida e bianca.MediciCosenzFabriziprofili austeri balenarono qua e là: non li conoscoma ormai gli eroi so immaginarliso come Garibaldi li fa. E vedrò passarequasi fuga di forsennati in mezzo ai nostriun gruppo di cavalli napoletani.Che voglionodove vanno? Intorno al Dittatore appiedato si fa un cerchio diquei cavalliun arco di spadedi lancie turbina su di luisuona fino ai piùlontani del campo un urlo di gioiadi ferocia borbonica; ah quello può essereil momento che salvi la corona a Sofia! Ma Missori e Statella sentono che nelgran poema questo sarà il loro canto: e dalla pistola girante del Lombardogentiledalla spada del Siracusano cavallerescoesce la morte meravigliosa.Fuggiteo lancieri! Il vostro capitano vi condusse da Messina promettendo latesta del Leonema non lo vedrete più. Cadde dal suo cavallo colla golatagliata dal Dittatore. Egli è nella polvere. E Garibaldi dal Veloce che vennefulminando per l'alto mare ad offrirsitorna a mettersi nella battaglia collesue grandi ispirazioni di marinaio.

Ilcanto del poema finirà narrando del vecchio castellodei fuggenti aricoverarvisidi Boscoinutile prodeche avrà per grazia del Dittatore spadae cavallomentre che ne uscirà patteggiato. E al Velocesopraggiuntocomefosse stata l'anima del morto Magiarosi darà il nome di Tuköryl'eroe diPorta Termini.

 

 

Catania24 luglio.

 

Partela Compagnia straniera di Volf. La conduce verso Taormina il capitano GiulioAdamoliun giovinotto lombardo tutto delicatezza e bravura. Vanno a vedere seda Messina si è mossa gente borbonica per affrontarcie domani partirà labrigata.

 

 

27luglio.

 

Arrivaronopolverosima abbaglianti; la banda in testa suonava una marcia guerriera.Bixiosu d'uno stallone pece che gli brillava sotto leggero come una rondinela faccia bruna incorniciata dal capperuccio candidopareva un Emiro chetornasse da una spedizione misteriosa nel deserto. Volteggiò spigliato cogliufficiali che aveva dietrosi piantò in un punto della piazza in facciaall'elefante di pietra che sta là sonnolento: a un suo comando la fila si spezzòi battaglioni piegaronovoltarono rapidigiustiattelatie si fermarono inun bell'ordine di colonna che parea fatto di soldati messi là uno alla volta.Questo è un reggimento da presentargli le armi i più vecchi del mestiere. Neparlai con gli amicie mi hanno detto che attraverso l'isola Bixio non gli halasciati riposare un istante. I soldati per le marce forzatefurono più d'unavolta sul punto d'ammutinarsi: ma sì! chi oserebbe essere il primo conquest'uomo che non mangianon dormenon resta mai?

Nonsaprei perchéma egli entrando in Catania non pareva guari contento. Anzi glicresceva quella minaccia che ha sempre tra ciglio e ciglio.

Chisa come vada d'accordo con quel capitano che gli vidi a lato e che dev'esseresuo Capo di Stato Maggiore? Colui sta a cavallo colle gambe spenzolate comefossero di cenci ma nella vita pare corazzato. Ha i capelli a lucignoli scialbicome la pelleguarda che pare lì per addormentarsi. Ma sotto i mustacchiunopiù lungo dell'altro e cadentela bocca ride sempre d'un riso sprezzatorementre l'orecchio pare teso ad ascoltare rumori misteriosilontani. Mi diconoche sia un alto ingegno venuto su dall'esercito piemontese. V'era sottotenentedei bersaglieri sin dal quarantotto; ma per non so che sdegno patriottico ne uscìquando avvennero i fatti di Milano nel cinquantatre. Tutti mi hanno l'aria distar in guardia da lui; buon compagno d'armi ma derisore che dove tocca scotta oleva il brano. Prenderebbe in canzonatura magari il Dittatore; ed io lo chiamoMefistofele in camicia rossa. È Giovanni Turbiglio.

 

 

Giardini28 luglio.

 

AciRealeGiarreGiardinitre cittadette che il mare le vuole e l'Etna le tira a'suoi piedi come schiave. Si vasi va e sempre questo monte che non finisce maidi mutare aspettisempre quelle sue falde fresche d'ombre che uno le gode congli occhitirando innanzi a camminare divorato dal solenella strada giallapolverosa di lavasulla quale danza un calore che a stender la mano par dipalparlorete dì metallo infocato.

Adestrafin dove può l'occhioun azzurro di mare che non somiglia punto a queldi Liguriané a quello là di Marsala. È il nostro bel mareper tuttomaqui ha trasparenze profondelontanedirei successive come i cieli di Dante.Forse ha senso di godimento sotto questo sole che gli penetra sin nel fondo;perché in quest'ora di mezzodì ha quasi un'aria di infinita bontà. Mi fidereidi dire che vi si può camminare sopra a piedi asciuttie a guardarlo m'entranell'anima la soavità squisita di cose intese da fanciulloi cielii laghile buone genti di Galilea.

Ma làoltre quell'ultima linea che altrove par finire in un balzo pauroso allafantasias'indovinano terre come queste e più deliziose. La Grecia non poténon potrebbe essere che laggiù. Par di sentire un profumo d'antico e un suonoda quella parte venuto in qua nell'arianell'acque; dolce oggi come alloraquando Virgilio cantava gli amori dell'Alfeo con l'Aretusa.

 

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ESant'Alessio è un fortino lì sulla viafatto anticamente per dar da ridere aibarbareschi. Non v'è una guardiama quel vecchio cannone da quella balestrieracome parca che ammiccasse! Raveggipassando meco a pié del fortemi disse: «Eccoil mio sogno! Aver quarant'anni e più ed esser messo qui con quattro veteranislombati. Me ne starei sdraiato ora su d'uno spalto ora d'un altroguardando ilmare attento attentoinvecchiando adagio adagiobevendo a sorsi la vitailvino e le fantasticherie della mia testa».

 

 

Inriva al mare.

 

Comincioa vedere chiara l'ultima punta di Spartivento. Quando da giovanetti dicevamo inversi: Dall'Alpe a Spartivento! io questi azzurri gli aveva indovinativedutirespirati. Ma ora non mi proverei neanche a descriverlo il digradarsi di tinteturchinetante sfumature quanti sonvi piccolì promontori sin laggiù dovetroveremo Messina. E quelle linee là oltre lo stretto che paiono guizzinell'ariatutti monti della favolosa Calabriadove chi pose piede coll'armi inpugno sempre morì?

Silenziosegravifumose come avessero Pensieri tristile navi napolitane vanno e vengonoper lo Stretto. Passare all'altra rivaecco il problema. Ma il Dittatore vive.

 

 

Messina.27 luglio.

 

Sulpiano di Terranovatra la città e la cittadellastanno due file disentinelleborboniche e nostre. Tra le due file una ventina di passiterrenoneutrale. Le sentinelle si guardanoappiccano discorsotirano innanzi unpezzopoi o si fanno il broncioo qualcuna dalla parte borbonica piglia lacorsa e si rifugia di quagridando viva l'Italiagettando berrettobudrieriogni cosa; mentre una turba di fruttaiole e di pescivendoli si fanno addosso aldisertore per divorarselo a baci. Ma alle volte i nostri tentano gli altriinvanoe scappa detta qualche impertinenza. Allora unoduetre borbonicilasciano andare la schioppettatai nostri rispondono; ed ecco un allarmegeneraleun suon di tamburi e di trombe da noi e nella cittadella. Sui bastionispuntano le teste dei cannonierile miccie fumano. Ma corre un ufficiale diStato Maggiorenostrouno borbonico esce dalla cittadella; si incontranosiparlanosi stringono la manopoi danno di volta e tutto è finito. Commedioleche fanno riderema che a qualcuno costano care. Stamane la cittadella tiròpersino una cannonata. La palla enorme sforò netto un casotto da doganierieandò rotolando lontano lungo il molo. I nostri corsero furiosi da tutte lepartie vidi un mutilato giovane saltellare colla sua gamba di legno per tenerpiede ai più pronti. Agitava uno schioppo colla baionetta inastatae gridavache era tempo di dar l'assalto.

 

 

Messina.Tornando da Torre del Faro. 28 luglio.

 

Sinoa Torre del Faro è una deliziosa passeggiata. Per un tratto villaggi pulitianche assai; dopouna landa sabbiosa via via fin dove balza la Torre bianca suda un mucchio di casupole grame. Poco verde là intorno; ma splende nel fondo ilmarepoi la lontananza dove non si vede più che colla fantasiachi n'ha.

Infaccia a Torre del Farodi là dallo Strettotira l'occhio una riga di verdecupoa' pié delle montagneche paiono incalzarsi e venir giù rovinando percolmare i fondi del mare tra le due terre. Qua e là quel verde è interrotto davillaggi biancheggianti; sulla spiaggia move gente; file di armati luccicano dicontinuo di su di giù per una strada che deve menare a Reggio. In marele navidella crocierache guardano qua dove si lavora di zappa e di badilea piantarecerti cannoni! Riconobbi tra quei ferravecchi la colubrina che portammo daOrbetello. La civettona sta là in batteriaallunga il collo verde fuori dellagabbionataun bel dì farà la rota come una tacchina. Ha una storia essa! Mase i cannonieri che le fanno la guardia e la liscianosapessero le eresie checi ha fatto dire da Marsala a Piana de' Grecila butterebbero in mare.

 

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IlDittatore se ne sta chiuso in una cameruccia a tetto là nella Torree intornoa quella accampano i Carabinieri genovesi. Non sono più i quarantasette diCalatafimidrappello insuperabile per coscienzaardimentivirtù militare. Maquelli hanno formato il quadro d'un battaglione che a Milazzo corse il campocome un uraganoe lo tenne dovunque apparve. Né sono tutti liguri. Le lorofile si sono aperte a giovani d'ogni parte d'Italia; e quei cinque o seisopravvissuti all'eccidio di Sapriche appena liberati dalle fosse dellaFavignana vollero vestirne l'uniformeportarono nel battaglione un alito dellagrande anima di Pisacane.

 

 

Fiumaradella Guardia9 agosto.

 

Ierisera quando fu ben buioventi barche si staccarono dalla riva di Torre delFarola prora diritta alla Calabria. Portavano ognuna dieci o dodici uominiarmatisull'ultimarittogli accompagnava il Dittatore. Si innoltrarono nelsilenzio dello stretto e presto furono perdute di vista. Le navi da guerraborboniche erano state sino a sera incrociando là in faccia; alcune si eranopoi andate a porre dietro il promontorio di Siciliain quell'ombra vaporosachedi giornoveduta di quimi pare un sogno sereno avuto da fanciullo. Madue erano rimaste nel bel mezzo del canale. I nostri in folla alla rivastettero coll'agonia di sentire fra momenti l'urlo dei compagni sommersi: oforse qua e là per lo stretto sarebbero scoppiati gli incendi delle navinemiche. Ma verso le undici il forte di Scilla balenòuna cannonata destòtutti i campi delle due sponde; poi si intesero delle schioppettate lànell'oscurità lontana; dopoun silenzio come quando è calato il coperchiod'una sepoltura.

 

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Orasi sa quel che avvenne. A mezzo lo strettoil Dittatoreaccertato che lebarche non avevano più nulla a temere delle navi borbonichelasciò cheandassero innanzidesignandone per guida una dalla vela latina. E tornò diqua. Su quelle barche navigavano Alberto MarioMissoriNulloCurzioSalomoneil fiore dei nostri con un dugento volontari scelticomandati dalcapitano Racchetti della brigata Sacchi; capo dell'impresa Musolino da Pizzo.

Duebarcaiuoli che v'erano mi narraronoe narrando tremavano ancora che quando siavvidero del passo cui i nostri si andavano a mettereessi non volevano piùremare. Ma costrettipiangendopregando Maria e i Santitirarono innanzi conquei demonii. Nel buio alcune barche si staccarono dal gruppo e si smarrironoverso Scilla. I napoletani dal Forte avendole scoperte tirarono quella maledettacannonataappunto mentre il resto della spedizione toccava il punto designatovicino all'altro Forte di Torre Cavallo e sbarcava scalecordearnesi d'ognifatta per darvi la scalata. Nacque un po' di confusione; le barche pigliarono illargo velocilasciando i nostri sull'altra spondanelle tenebresenza guidee alle prese colle pattuglie napoletane uscite dal Forte.

 

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Lanostra brigata era venuta qui per essere trasportata in Calabria se l'operazionedi ieri notte riusciva. Occupiamo il greto d'un torrenteallo sbocco d'unavallicella allegra e ben coltivata. Nessuno ha mosso una pietra; non si vedonoquei lavoretti che fanno i soldati per accomodarsi il campo dove sanno d'aver astare: tutti si tengono come uccelli sul ramo pronti a volar via.

 

Fiumaradella Guardia10 agosto.

 

Franoi e i trecento nostriil marele navie i borbonici dell'altra sponda!

Sonolà in facciasu quella costa di monte in quel verde pallidosopra Villa SanGiovannima lontaniin alto. Vediamo del fumo che crescesi allargasi fafitto; si sentono le schioppettate sorde. S'indovina col cuore che i nostriassaliti si difendonosuperbi di combatteretrecento al cospetto di tutti ireggimenti accampati di quada Messina al Faro!

 

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Ebbiun lampo nell'anima. Il desiderio di questa Sicilia che mi tirava a sé da tantotempoempiendomi la fantasia di delizie e il core di pene misteriose; quellacertezza che aveva di trovare nell'isolanon sapeva chima qualcunoconosciutocaroun amico; tutto mi veniva dall'aver lettoanni sonoil DottorAntonio di Giovanni Ruffini. Me ne sono avveduto dianzi udendo rammentarequesto libroche mi tenne sull'ali tanti giorni dopo che l'ebbi letto. E fui lìper inginocchiarmi sull'arenaa ringraziare a mani giunte lo scrittore chedall'Inghilterra rivelò all'Italia questa parte delle sue terrequesto popoloqual èo qual sarànon importa.

 

 

11agosto.

 

Unasfilata d'ufficiali. Quel colonnello quadratoche camminando tentenna la testagrigia come minacciasse qualcuno dinanzi a séè un inglese che colla carabinacoglie dove vuole. Si chiama Peard. Non ha un comandoma tiene sempre dietro alcorpo più vicino al nemico. Porta i suoi cinquant'anni come noi i nostri ventifa la guerra da invaghitotira in campo come a una caccia di tigried amal'Italia. L'altro che gli somiglia un po' è il maggiore Specchi. Artista esoldatoha sparso del proprio sangue dovunque si è combattuto per la libertàin Italia e fuoriNon è mai stato al fuoco che non abbia toccata una ferita.L'ultima l'ebbe a Milazzo. Il Dittatore gli vuol bene come a un fratello; perchéhanno vissuto insieme pel mondodopo la caduta della Repubblica romanaadorando e sperando. Quello con gran barbaun po' curvovestito di scuroeraDe Flotte. Camminava a lato di Specchie come vecchi amici parlavano tra loro.De Flotte è una di quelle persone la vita delle quali si indovina alla mestiziaserenache hanno in tutto l'essere: e la fantasia vede la croce sotto il cuipeso camminano stentando. Eglirappresentante del popolo quando il colpo diStato si gettò sopra Parigistette fino all'ultimo della resistenzapoi esulò.Credo che fosse ufficiale di marina. Qui non è che un uomo di buona volontàche rispose alla chiamata d'Italia come i Polacchigli Ungheresitutti igenerosi d'altre patrieche ci hanno portato le loro spade gloriose.

VidiNicola Fabriziuna figura da Condottiero biblico. Se quest'uomo fosse comparsoin un congresso di Rea domandare giustizia per l'Italiai Re si sarebberoalzati a riverire in lui il popolo che può dare un cittadino della sua sorte.Semplicenon mai accigliatopare che spanda intorno un'aura di benevolenza;passae si vorrebbe mettersi a camminargli dietrosicuri d'andar con lui abuona meta. Se un fanciullo gli si abbracciasse alle ginocchia in un momento cheper Fabrizi fosse di vita o di morteegli si chinerebbe a carezzarlo. Dai tempidi Ciro Menottiva innanzi costui! Ha credutogli è cresciuta la fede ogni dì;non si è mai volto addietro; gli anni non gli han fatto cadere le penneedebbe sempre certezza di vedere il gran giorno d'Italia. Ora che si comincia asapere come il Dittatore poté lanciarsi a questa impresasi sa che Fabrizi daMaltaCrispi e Bixio in Genovagli hanno messo nella coscienza che l'Italia sideve farla in quest'anno o forse mai più.

 

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Horiveduto il maggiore Vincenzo Statella con un taglio di traverso nel nasocherialza la fierezza impressa sulla sua faccia. Un ufficiale ungherese trottava daTorre del Faroportando non so che ordini del Dittatore. A un certo segno sifermò a pié d'una batteriachiedendo qualcosa a Statella che era lassù.Statellao non badasse o non capissel'Ungherese gridòStatella risposestizzito. Quattro e quattr'ottofu combinato lì per lìdi scambiare duecolpi di sciabola; Statella ne toccòl'Ungherese tirò avanti al suo destino.

Questofiglio di prìncipiche ha il padre generale borbonico dei più vecchi e dei piùdevoticapitò anelando a Palermo ad abbracciare il Dittatoreil suo vecchiocapitano del 1849venuto a liberargli l'isola. Chi l'avrebbe sognato? È diSiracusa. La sua nobiltà l'ha scritta in fronte; ma il suo coraggio!... Neparleranno i lancieri borbonici potuti scampare a Milazzo da Missori e da lui.

 

 

15agosto.

 

IlVeloce che nel 1848 era un legno da guerra della Rivoluzione sicilianapresopoi dai Borbonifu ricondotto alla Rivoluzione da un Anguissolae ribattezzatocol nome di Tuköry. A Milazzo lavorò da buono; e l'altra notte il Piolaufficiale della marina sardalo condusse a un'impresa che se riusciva!... Sivoleva spingersi a Castellamareimpadronirsi del Monarcavascello borbonico daottanta cannonie a rimorchio menarlo quiper piantarlo al Faro come unafortezza. Il Tuköry arrivò a Castellamare senza incontri. Era mezzanotte: ilMonarca giganteggiava nero sull'acque. Pareva cosa fatta. Alcuni dei nostribersaglieri del battaglione Bonnetsi calarono nelle lance per tagliare legomene del Monarca; altri davano già la scalata; ma ecco l'allarmele trombei tamburitutta la guarnigione di Castellamare corsa a far fuoco; e cannonatee schioppettate a grandine. Fu forza rinunciare alla presa. Il comandante delTuköry stimò inutile stare a farsi cogliere e si ritirò; ma lento come Ajacea suo agiolasciando i Napoletani a mitragliare le tenebre.

Spiraun'aria di mistero che pare venga fuori da non so che antro. Non si è piùvisto il Dittatore da parecchi giornie chi dice che è viachi vuole che sene stia chiuso nella Torre del Faro. Come il Corrado di Byronse ci fosseGulnara!

 

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Hovoluto dare una corsa fino a Giardini. Quella costaquelle cittadette mi eranorimaste tanto nel cuore! Trovai per via molti amici della brigata Bixiochetutti hanno ormai qualcosa di lui nel farenel diresin nella guardatura.Questo generale pare fatto per tempi come questi e per noi. Piglia la gentelarimpastala rifà: con lui o fareo rimanere spezzati in mezzo alla via. Unosguardouna parola; non basta? gli scatta via magari una sciabolata: e questaè la sola deformità del suo essere. Se ne lagnano tutti; ogni poco i suoivolontari vorrebbero abbandonarlo. È violentoè insopportabile! «Ebbene?Sotto chi preferireste servire? Sentiamo». «Ma!... eh!... sotto Bixio!».Infatti non ci sono in Italia trenta come lui. Se una palla lo toglie di mezzosarebbe come ad avere le nostre forze scemate a un tratto un bel poco: e se ilBorbone avesse un ufficiale come Bixioforse... ma nonon voglio scriverequesto pensiero. Dicono che Bosco vale lui? Eresia!

Bixioin pochi giorni ha lasciato mezzo il suo cuore a branisu per i villaggidell'Etna scoppiati a tumulti scellerati. Fu visto qua e làapparizioneterribile. A Brontedivisione di beniincendivendetteorgie da oscurare ilsolee per giunta viva a Garibaldi. Bixio piglia con sé un battaglionedue; acavalloin carrozzasu carriarrivi chi arriverà lassùma via. Camminandoera un incontro continuo di gente scampata alle stragi. Supplicavanotendevanole mani a luiagli ufficialiqualcuno gridando: Oh non andateammazzerannoanche voi! Ma Bixio avanti per due giornicoprendo la via de' suoi che non nepotevano piùarriva con pochi: bastano alla vista di cose da cavarsi gli occhiper l'orrore! Case incendiate coi padroni dentro; gente sgozzata per le vie; neiseminari i giovanetti trucidati a pié del vecchio Rettore. «Caricateli allabaionetta!». Quei feroci sono presilegatitanti che bisogna faticare perridursi a sceglier i più tristiun centinaio. Poi un proclama di Bixio èlanciato come lingua di fuoco: «Bronte colpevole di lesa umanità è dichiaratoin istato d'assedio: consegna delle armi o morte: disciolti MunicipioGuardiaNazionaletutto: imposta una tassa di guerra per ogni ora sin che l'ordine siaristabilito». E i rei sono giudicati da un Consiglio di guerra. Sei vanno amortefucilati nel dorso con l'avvocato Lombardiun vecchio di sessant'annicapo della tregenda infame. Fra gli esecutori della sentenza v'erano dei giovanidolci e gentilimediciartisti in camicia rossa. Che dolore! Bixio assistevacogli occhi pieni di lagrime.

DopoBronteRandazzoCastiglioneRegalbutoCentorbied altri villaggi lo viderosentirono la stretta della sua mano possentegli gridarono dietro: Belva! maniuno osò più muoversi. Sia pur lontano quanto ci porterà la guerrailterrore di rivederlo nella sua collerache quando si desta prorompe da lui comeun uraganobasterà a tenere quieta la gente dell'Etna. Se noecco quello cheha scritto: «Con noi poche parole; o voi restate tranquillio noiin nomedella giustizia e della patria nostravi struggiamo come nemici dell'umanità».

Vivechi ricorda d'una sommossa avvenuta per quei paesi lassùsono quarant'anni. Ungenerale Costa v'andò con tremila soldati e quattro cannonima dové dare divolta senza aver fatto nulla.

Esul finire del secolo passatoil titolo di duca di Brontefu dato a Nelson.Bixio che titolo gli daremo? Non questo che fu di chi strozzò Caracciolo!

 

Messina18 agosto.

 

IlDittatore non è più a Torre del Faroné a Messinané in Sicilia: si senteda tutti come qualcosa che sia venuto meno nell'arianella naturain noi: manessuno osa dire né chiedere che sia stato di lui. Pare che ognuno temerebbe disentirselo galoppare addosso gridando: «Tu che vuoi sapere?»

Intantos'odono dei discorsi cozzanti come sciabole. C'entra l'Imperatore di Franciac'entra Vittorio Emanuelee una lettera che si dice egli abbia scritta alDittatoreper intimargli di astenersi d'ora in poi da qualunque passo contro ilre di Napoli.

-Lustre per tener a bada l'Europa! dice uno.

-Scrivano e legganodice un altronoi intanto una di queste notti passeremo loStretto.

Maquelli che vorrebbero andare più alla lestadicono addirittura che Vittoriofarebbe meglio a mandar Persano col Govèrnolo e colla Maria Adelaideapiantarsi in mezzo al Canale per farci far largo.

 

 

20agostomattino.

 

Cannonatelaggiù in mare verso il Capo dell'Armi! Che poesia di nomi! Ma che sgomentopensar che ogni colpo spegne la vita a tantitra i quali può essere qualcheamico che non vedremo mai più. Gente che viene da Catania dice che nella nottearrivarono a Giardini due vaporiche tutti quei di Bixio vi montaronoma nonsanno altro...

Bixioè in CalabriaBixio! Col Dittatore! Dunque è ricomparso improvviso un'altravolta su la spiaggia nemicaquest'uomo che un po' pare appena vivoun po' sitrasforma arcangelo che spiega l'ali e rota la spada come un raggio di sole!Marsala e Melitodue nomidue sbarchi; Garibaldi e Bixio due volte nellostesso cielo di gloria; e noi qui che si vorrebbe tutti gettarsi in mare enuotando arrivar di là. Non ho mai sentito com'ora l'avidità fusa da Virgilionell'ombre del sesto canto:

 

..... Stavanpregando

E le manitendean pel gran desio

Dell'altrasponda....

 

Epoiché tanto romanticismo portato da Garibaldi nell'arte della guerranon fadimenticare la gentilezza classica di Virgilio; ioimmaginando la Corte diNapoli quale deve essere all'annunzio del Dittatore in Calabriaal rumor d'armicrescenteodo ancora la nota malinconica dell'Eneide che mescola di luttidiversi la reggia. Oh quella Reginache pianti! Si capisce come il generaleBosco bello e prodepreso da tanto dolore si sia tutto votato ad essa dopoMilazzo. Ma Garibaldi indovino l'ha vincolato a non tornare in campo prima disei mesi. E Francesco secondo perché non monta a cavallo e non viene apiantarsi ai passi di Monteleone? Eccolo! Perire là; o ricacciandociaffogarcitutti in questo mareche di notte o di giorno vogliam passare.

 

22agosto 1860. Al Faro.

 

Eora mi pare di aver più profondopiù interoanche il sentimento di queiversi del Manzoni: Dolente per sempre chi Dovrà dir sospirando: ionon v'era! È un patimentoun dolore squisitoche non somiglia a nessunaltro dolore. I nostri sono di làhanno combattutoe noi non c'eravamo!

Ofrate Calasanziano maestro mio; cosa faiin questo momentonella tua celladondein quello scoppio del quarantotto che noi sentimmo appena da fanciullil'anima tua di trovatore si lanciò fuori ebra di patria? E quasi volevaandarsene dalla terraquel giorno del quarantanove orrendoquando dallacattedra dicesti ai tuoi scolari: Fummo vinti a Novara!

Cinarravano i più grandiche il padre maestrodicendo cosìera cadutosfinito: e noi mirandolo per i corridoi del collegiorapidosempre agitatofronte altacapelli bianchi all'ariae l'occhio in un mondo ch'egli solovedeva; ci sentivamo mancar le ginocchia e pensavamo a Sordello di cuileggendoci Danteci voleva infondere la gentilezzala forza e lo sdegno.

Fuluigran frateche del cinquantatre ci lessenella scuolal'ode: Soffermatisull'arida sponda. Non disse il nome dell'autorema promise il primo postoa chi lo avesse indovinato. Indovinammo tutti! Non avevamo già letto il Corodel Carmagnola?

Oradi quell'Ode mi torna l'ultima strofe e l'accento con cui il padre leggeva: Dovràdir sospirando: io non v'era! E a luiin questo momentoritornano forse leimmaginazioni di noi sette od otto suoi scolari che siam qui; forse ricorda comeci faceva raggiar di collera quando ci leggeva nel Colletta la morte delCaraccioloo gli eccidi dei Napoletani del novantanove; forse dice che alleguerre di Sicilia ci preparò egli stesso.

 

 

25d'agosto. Spiaggia del Faro.

 

ABagnaralà in facciasulla sponda Calabresegran lutto. Ierimentresbarcavano quelli del Cosenzfucilati dai Napoletani del general Briganticadde morto La Flotte nella sua camicia rossa di colonnello garibaldino. Narranoche mentre s'imbarcavano qui al Faroil maggiore Specchi volle dargli unarivoltellae ch'egli sorridendo e ringraziando avrebbe voluto non accettarla;perchédisseal primo colpo che avesse tirato contro un uomoun altroavrebbe ucciso lui. Dunque voleva andar tra i nemici come il vecchio eroedell'Henriadeche si cacciava nella mischiasempre esposto a morire senzaammazzare mai? - La Flotte morì. Ma il Dittatore lo fa vivere per la gloriadella Francia e dell'umanitàgridandolo nell'ordine del giorno con parole chevalgono ben più d'ogni vita.

DormiràLa Flotte nella poetica terra di Calabriache tanto ora è sua più che nostra:lo nomineremo noitutta la guerraperché dicono che da lui sarà chiamata lacompagnia di quei dugencinquanta francesivenuti a portarci il fiore del lorocoraggio.

 

26d'agosto.

 

A segno distella.

Ilcampo era così. Giù nelle bassuree sulla riva del mare la brigata delgeneral Briganti; su in alto come spettatori sulle gradinate d'un teatro anticoi nostri. Ma se i Napoletani non si arrenderannotutta quella nostra genterovinerà loro addosso e li affogherà nel mare. Si aspetta; è notteGaribaldili vuole prima dell'alba; e agli avamposti.

-Tenenteavete orologio?

-Generaleno.

-Non fa nulla! Coricatevi quicosì: guardate quella stellaquella piùlucentelà: e guardate anche quell'albero. Quando la punta di esso vinasconderà la stellasaranno le due. Allora sue all'armi!

Cosìcon la semplicità d'un Re pastorecon l'eleganza d'un eroe Senofonteomeglioancora! così come egli stesso nelle foreste vergini Riograndesi de' suoigiovani anniGaribaldi diede l'ora a segno di stella.

Mad'assalto non ce ne fu bisogno. Dicono che il general Briganti si vide colDittatoree che patteggiò la sospensione dell'armi. Me l'hanno descritto. Chespettacolo tutta quella brigata ridotta a nullaquei soldati mandati sciolti!Non li vidine godo; devono essere cose da rompere il cuore.

 

 

27d'agosto.

 

Altrenuove! Pare il marzoquando i ghiacci si romponoe vanno via a grandi pezziportati dalla corrente. Il generale Melendezcon un'altra brigatacircondatodai nostrila sciolse e se n'andò. I comandanti borbonici si lavano le mani ditutto l'uno su l'altroda grado a grado; non c'è più disciplinatutto sisquaglia. Gli è che la Reggia e piena d'imbelli; e la Rivoluzione avvolsel'esercito come di un'aria che non si può respirare.

Masi dice cheier l'altroil general Briganti se ne andava solo soletto acavalloverso chi sa doveper far chi sa che cosae che arrivato a Mileto siimbatté nel quindicesimo reggimento napoletanoaccampatotra gli urli: Altraditore! Allora egli smontò ea piedisi avanzò in mezzo ai soldati. Lasua maestà di vecchio e la calma del volto potevano vincere; ma un tamburomaggiore gli si avventò con una puntata del suo bastonee lo passò fuorifuori a morte. Altri dicono che fu ucciso con una schioppettata a bruciapelo.

Quandotraverseremo quella campagna tragicami parrà che l'aria tremi ancora deltruce fatto. Tutte tragiche queste rupi della Calabria! Là presso devono esserestati uccisi i Romeo; non lontano di là dev'essere il passo dell'Angitola dovenel quarantottocaddero i Calabresi e la gente dei Musolino. Passo passo c'ètutta la storia dei francesi di re Giuseppe e di re Gioacchino...; e non sorgere Gioacchino stessotragica ombra su quel Pizzo laggiù?

Madi quel povero general Briganti non me ne posso dar pace! Ho inteso dire che inPalermoquel giorno che Garibaldi c'entrò da Porta Terminiegli comandava nelforte di Castellamaree che non sapeva risolversi a dar l'ordine di bombardarela città. Sussurrano pure che alloratra gli ufficialici avesse un figlioma di tutt'altro cuore. Che misteri sotto le tuniche dei soldatiquando sultrono v'è Nerone o Augustoloe di mezzo fra trono e soldati c'è la patria chegeme!


 

[MARCIATRIONFALE VERSO NAPOLI]

 

 

30d'agosto.

 

Viaggiamosul Carmelvapore postale francese che viene dai porti della Siriae cipigliò a Messinaun centinaioquasi tutti feriti o malati che se ne vanno acasa un po' di giorni. C'è il Medici di Bergamofurioso per nostalgiachevorrebbe uccidere il Comandanteperché gli pare che il vapore non voli comebramerebbe lui. Sul castello di poppa vi sono delle signore che ci fanno un'ariadi primavera soave. Bellissime due giovinette catanesi che paiono fatte disogni.

Tuttagente felicetranne quella bella donna francesealta grigiache forse avràquarant'anni. Dice un capitano di fanteria francese ch'essa fu nella Siriadonde torna anche luie che vi fu a cercar il sepolcro di un suo figliuolosottotenenteche vi morì. Il capitano parla dei cristiani del Libano e dellearmi di Francia laggiù: par sin che gli dolga della nostra guerraperché nonlascia badare alle cose di quella parte così bella e così poetica della terra.Ma quei di Calabria e di tutto il Regno non sono cristiani che gemono peggio chesotto i Turchi?

 

 

Nelporto di Napoli31 d'agosto.

 

Ilcieloil golfol'isolail Vesuvio che esulta nell'azzurro ardentee tutta lacampagna che si ammanta di colori finisempre più finivia via sin laggiùdove sfuma nell'aria; nullasa nulla di quel che avviene? Ma! l'immensa cittàche sgomenta a vederlabolle di passione che si indovina. Quella è la Reggia.Dunque da quei balconimostrando loro i galeotti nel bagnoFerdinando secondodiceva ai figli suoi che quelle catene erano l'alfabeto dei giovani prìncipi?

Lontanolungo una via a maresi vede una colonna di soldati che vannovannovanno.Chi sa cosa sarà di loro tra pochi giorni? Guardo il mare qui attorno. Forse ilCarmel galleggia nel punto doveimprovvisovenne su dall'acqua il cadavere delCaraccioloson sessant'anni. Tra questi vecchi barcaroli che vengono intorno alCarmelvi potrebbe essere chi lo vide: eppure a noi il fatto dà un senso diantichità buia buia. Le barche della polizia ci rondeggiano intornoma deisignori napoletani son venuti a bordo lo stessoe si son lasciati vedere aparlare con noi. GaribaldiGaribaldi; è il loro spasimato desideriola loroagonia. Quando verrà?

Unsignore nostro compagno di viaggio che fece un giro per la cittàtorna e diceche vi si parla d'una gran cosa avvenuta in Calabria. A Soveria MannelliGaribaldi avrebbe fatto deporre le armi ai quindicimila soldati del generalGhio! Ma allora che farà il re di Napoli? Si stenta a non lasciarsi prendere daun certo sentimento di compassione.

 

 

Salpandoda Civitavecchialo settembre 1860.

 

Ilcapitano Lavarellovecchio lupo di marelivorneseci chiamò in disparte e cidisse una bella cosa. «Ecco là. Quella goletta da guerra pontificia èl'Immacolata. Chi ci sta a un bel colpo da corsari? Tutti? Allora si aspetta unaltro pocosi dice a tutti questi garibaldini di badare a noisi salta sulComandante del Carmel e sui suoisi mettono giù sotto coperta senza toccarloro un capelloma chi si muove guai! Un po' di voi si calano dal vapore conuna gomenabalzano sulla goletta del papaspazzano nella stiva quei pochimozzi che vi sono soprapoi si legano a noiio prendo il comando del Carmel ea tutto vapore rimorchio via l'Immacolata. Quando ne avranno accese le macchinevi monto su iolasciamo che il Carmel se ne vada al suo destinoe noinavighiamo verso la Calabriaa far della goletta un presente a Garibaldi».

Parevacosa fatta. E si pregustava già non so che gioiacome a leggere Byron. Chi sache strida le signorechi sa il capitano francese che abbiam con noie ilsoldato francese che era là in sentinella sulla punta del molo! E poi chi sache fuga giù pel maree che pericolie che misteri! Ma a un tratto il Carmelsi mise a salpar l'àncora e addio. Mentre ci allontaniamoguardo laggiù imonti del Lazio. Da quest'acqueGaribaldi giovinetto pensò la prima volta aRoma.

 

 

Napoli14 settembre 1860.

 

Diecio dodici giorni sonoquando vidi Napoli dal portomi sarei lanciato giù dalCarmel per arrivarvi a nuoto. Ora che ci sononon mi par più... Forse èstordimento. Grandeimmensavaria da perdervisie fastosa fin nello sfoggiodella miseria. Non vidi mai sudiciume portato in mostra così! Ho dato una corsapei quartieri poveri; c'è qualcosa che dà al cervello come a traversare unpadule. La gente vi brulicabisogna farsi piccini per passaree si vien viaassordati. Ma su tutte quelle faccie si vede l'effusione di un'anima che si èdestata e aspetta... Chi sa cosa voglionocosa speranochi sa? E se una nottesi scatenasseroa furiaurlando Viva chi sa che Santoche sarebbe di noichecosa del Dittatore? Eppure egli se ne sta sicuro nel palazzo d'Angri. Dubitosisiam noi piccini e di poca fede: egli ne ha da movere le montagnee si sentedentro l'anima di tutto il popolo. Forse che non fece tutto quello che volle? Ecosa avremmo potuto noi poche migliaia se alla testa non avessimo avuto lui? Emessi tutti in un solo con tutte le loro virtùavrebbero potuto quel che eglipoté tutti i generali d'Italia? Bisognava il suo cuoree forse quella suatestaquella sua faccia che fa pensare a Mosèa un Gesù guerrieroaCarlomagno. E chi lo vede è vinto.

 

14settembre. Nei Granili di Napoli.

 

Ritrovola mia brigata. Nullanulla! Il senso che dà questo sentirsi assorbito nellavita d'un gran corpo di giovinezzad'amore e valorenon c'è nulla che lopossa dare! Li ho riveduti tutti! CatanzaroTirioloSoveriaRoglianoCosenzala brigata Eber camminò per tutto quel tratto della Calabriatendail cieloletto la terrama senza tirare una schioppettata. Mi descrivetutto Daniele Piccininiil più bel capitano della brigata.

ACosenza si trovarono quasi tutti i Corpi delle nostre Divisionia un tempocome se ci si fossero data la posta. Fu un pensiero di Bixio? Schierate sulterrenodove sedici anni

sonocaddero fucilati i Bandierale Divisioni fecero una commemorazione eroica.Bixio incendiò l'aria così: «Soldati della rivoluzione italianasoldatidella rivoluzione europea; noi che non ci scopriamo se non dinanzi a Diociinchiniamo alla tomba dei Bandiera che sono i nostri Santi!». - E le Divisioniascoltavano mute il discorso brevevibrato e tempestoso come il mare su cuiBixio visse mezza la vita. Dice Piccinini che se ad ognuno fosse stato detto:Vorresti essere uno di quei morti? ognuno avrebbe risposto che sìche sì.Perché Bixio li fece passar vivi e trionfanti dinanzi a tuttisì che la loromorte parve più bella delle nostre vittorie. Certo il martirio ha molto più didivino che il trionfo.

Ementre la cerimonia si compiva nel Vallo di Cratiil Dittatore entrava inNapoli quasi solosalutato dalle milizie lasciate qui da Francesco secondo;acclamato da un popolo che dev'essere parso quello di Gerusalemme il dì dellePalme. Cose da dar le vertiginida far allungar la mano per pigliar la corona.Ma Garibaldi passòsorrisee alla Reggia non diede nemmeno uno sguardo.

 

 

Napoli15 settembre.

 

PerCasertaa furia! Ieri i regi uscirono di Capua... chi sa? Si sente che da Capuaa qui c'è un passoe di mezzo quasi nullapoche camicie rosse. Cosa sarebbeun improvviso ritorno. RuffoFra Diavolol'orgia del novantanove!

 

 

Caserta15 settembre.

 

Quelladei borbonici di ieri non fu che una ricognizionema grossa. Gli ungheresidella legionedove si piantanonessuno li può muovere più. Ebbe un belcaricarlila cavalleria napoletana; si ruppe contro i loro gruppi come ondacontro gli scogli. Allora venne avanti la fanteria. Ma i bersaglieri del Tanaracon quei del Corrao le si avventarono alla baionettae viaviala fecerovoltaredandole poi dietro quasi fin sotto le mura della cittadella. A tornarefu un guaio. L'artiglieria dei bastioni li fulminava.

 

** *

 

Bravissimoe mite il generale Türr! Non si crederebbe a mirare quella sua faccia fiera.Egli a soffocare le reazionipoco o punto sangue. Non ne versò in Avellinonon in Arianodove fu quasi solo e mise la pace. Ieri l'altro spacciò ilmaggior Cattabene a Marcianisegrosso borgo poco lontano di quidov'erascoppiata la reazione al vecchio grido borbonico di Viva Maria! - Cattabene ètornatodopo aver quetato tuttocon due soli morti di quattordici che n'avevacondannati. «Ma vogliamo tutti mortianche gli altri dodici!» grida la gentedi Marcianisee viene una deputazione a domandar a Türr questa grazia. Nonodice Türrperdónooblìoconcordia: noi non siamo qui per le vostre piccolevendette.

 

** *

 

16settembre.

Nonvenisse a saperlo nemmeno l'aria! Garibaldi parte per la Siciliachi sa checosa avviene colà? Ma chi sa cosa potrebbe accadere quise i borbonici diCapua venissero a sapere ch'egli non c'è?

 

 

20settembre.

 

Ierigrande dimostrazione contro Capuadicono per dar agio ad altri nostri diprendere Caiazzo che è una grossa terra di là dal Volturno. Dicono ancora chefu per conoscere una buona volta tutto il nemicoquanto n'è rimasto fedele alRe fuggitivo. Ma si sprecò del gran sangue! Troppo ardore negli ufficialitroppo nei soldati.

Sicominciò dall'estrema sinistrapoi fu l'inferno su tutta la linea. Noi d'Ebersulla via di Sant'Angelofummo i meno combattuti. Ma abbiamo ben vistocacciatori e fanteria e artiglieria volerci venir addossose una parte deinostricon due cannoninon cominciava. Il loro fuoco fu così ben diretto enutrito che quella colonnanon osando avanzarsiripiegò. Allora fu inseguitae i cannoni furono tratti fino in faccia alla fortezza. Làsfidando quarantapezzifecero fuoco fin che vi fu un artigliere in piedi; poi come si vide che icacciatori volevano venirseli a pigliarecorsero i bersaglieri della brigataMilano e li trasportarono in salvo.

Appuntoin quel momento s'udì gridare dalla nostra destra: Egli è quiegli vieneilDittatoreil Generale! - E apparve dalla parte di Sant'Angelo Garibaldi bello eraggiante. Noi sotto i suoi occhifummo fatti piegar a sinistraper rintuzzareun nuovo assalto di borbonici usciti freschi da Capua. Piombammo sul fianco diquella colonnauna cosa che mi parve un lampoe quella sparì. Ma ne cadderodei nostri! Il capitano Marani di Adria giaceva là tra gli altri con un bracciospezzato; bel biondochi sa come rimarrà mutilato!

Orasi dicono le glorie dei morti. Non conobbi il colonnello Puppiche fu sventratodalla mitraglia quasi sulla porta di Capua. Mi piglia una gran tristezzami parquasi un torto di non averlo visto mai.

Eil povero capitano Blanc da Belluno? Lasciò il suo grado d'ufficiale deiGranatieri e se ne venne a perder qui una gamba. Ma CozzoNarciso Cozzoquelbarone palermitanoche pareva un gentiluomo degli Altavilla rimasto vivo persaggio della stirpe. Ebbenecadde di palla tra i Carabinieri genovesiqueigloriosi veliti che si son fatti un obbligo di essere sempre primi.

 

 

28settembre.

 

Dacinque giorniogni mattinaci si mette sotto l'armie ci stiamo dell'ore. Cosìs'esercita il cuore. Perché è una gran prova quella di prepararsi a morireepoi nosentir dire che non è ancor tempotornarsene e pensare: sarà perdomani. Ma qualcosa di tragico si avvicina. C'è nell'aria un gran gonfiore ditempesta. L'ordine del giorno di alcune sere sonoparlava vagamente di assaltiseriie diceva dei se mai che facevano tremar le viscere. Non di pauranodi sgomento patriottico. Se mai concentrarsi tutti a Maddaloni. Epoi? Poi verrebbe a dire che tutto sarebbe perdutoe che là sidovrebbe finir tutti.

 

 

30settembre. Sera. Quartiere di Falciano presso Caserta.

 

Ilcannone di Capua si è fatto sentire tutto questo pomeriggio; ora con l'avemariatace. Non v'è più dubbio; i napoletani usciranno e saranno molti. I loroscorridori tentano qua e là i nostri lungo tutta la linea del Volturnoestamane si provarono a passarlo alla scafa di Triflisco. Ma quei di Spangaro lihanno respinti.

Soche il Generale è stato da Bixioqua oltrenella gola di Maddaloni: so che sison detti delle parole solenni e che Bixio sentì Leonida in sé. «Fin che saròvivonessuno passerà!». Lo dissee sarà Vangelo.

 

 

1°ottobre3 antimeridiane.

 

Chemalinconia dopo il primo sussulto del cuore! Un galoppouna Guida: ColonnelloBassini! Colonnello Cossovich! E poi le trombe. Come è rauca quella dellaguardiae di malaugurio! Ma questa che si mette a suonar la sveglia nel nostrocortilecon trilli di allodola montaninaquesta è di Viscovoe sveglierebbei morti. Egli sa mettere l'anima sua nel suo strumentoe quando l'ha imboccatoegli non c'è piùse ne va tutto in note. Pare che dica: Moriremorir così!Povero trovatelloraccolto da noi sulla gran via della patrianon so in qualpunto della Siciliavenne con quell'ombra di corpicciuolo a sedici anni; macosacosa venne cercando? Più che la morte no. Tale dove essere nel pensierodi Virgilio Miseno l'eolidedi cui niuno fu più potente a spingere collatromba i prodi.


 

[LABATTAGLIA DEL VOLTURNO]

 

1°ottobre. Caserta. Nella piazza del Palazzo Reale.

 

Eccociqui di riservaquasi tutta la Divisione Türr. La battaglia infuriasu d'unatrattache a segnarla ci vuole tutto il gesto del braccio largo quanto si puòfarlo. Noi qui non si muore ancorama si provano delle angoscie come a esserenel Limbo. Veggo delle faccie d'un pallore mortalene veggo d'allegredipensosedi fatue; chi sa come è la mia?

Inun canto della piazza v'è un battaglione di Savoiaora brigata Re. I soldatistanno sotto le tendee gli ufficiali si aggirano intorno ad esseforsetemendo che qualcuno ne sgusci via e venga con noi. Ma ci guardanoec'invidiano: noi da un momento all'altro possiam essere chiamatiessi no. No?Ma allora cosa ci son venuti a fare? Vedo un capitanoSavoiardo verocertamente ancor di quelli del quarantotto. Volge verso noi i suoi occhi chiarinei quali par la visione dei suoi compatriotti passati alla Francia. Forse glipiange il cuoreperché pensa che erano dei migliori; e che alla guerra quandosi griderà: Savoia! Savoia non vi sarà più.

 

** *

 

Edecco un altro capitano dell'esercito di Vittorioma dell'artiglieria. Giovanequanto me e già capitanoio lo credeva uno dei nostridi quei vanesii che perpompa si fanno far la divisa. Ma dietro lui venivano stretti degli artiglieriproprio di quei di lassùqualcuno colla medaglia della Crimea. Vengono daNapolivanno in cerca di Garibaldivogliono darsi col loro capitano che sichiama Savionobile piemontese. - «Cosa ci vengono a fare? - ha detto unufficiale dei nostri: - poi vorranno aver fatto tutto loroaver gli onori etutto...?» - «Ahiamicodiamo loro dei cannoni e poi lasciali andare...Vedrai che Garibaldi non dirà come te».

Unacarrozza da Santa Mariauna donna dentroviso di fuoco. capelli di fuocogesti di fuocoe un angeloe una Furiache cos'è? Parla con un colonnelloungheresesi mette le mani alle tempiedeve dire cose orrende; o che i feritie i morti sono già a centinaiao che di Capua vien fuori la nostra rovina.Ohimè! perché non è italiana? Si chiama Miss Whiteè moglie del Mariounodei nostri miglioriforse la più bella testa che possa essere spezzata oggi daun misera palla di soldato ignorante.

 

** *

 

Eda Maddaloni una Guida volando... «Dov'èdov'è il generale Türr». Bixiodomanda aiuto! - Aiuto Bixio? Dunque dev'essere agli estremi. O sole che vedestitante cose orrende nel mondoo Dionon lasciate perir l'Italiaoggi... qui...

 

** *

 

Primobattaglioneprima e seconda compagniapigliate l'armifianco destrvia.Tocca a noi. Portiamo a Bixio questi quattro petti; sgriccioli che andiamo inaiuto dell'avvoltoio.

 

 

1°ottobre. Ore 2 pom.

 

Epoi venimmo salendo il montevolgendoci sgomenti a guardare dietro di noiCasertae più lontano Santa Maria e la campagnatutto fumo e scompiglio. Daldi là dei monti Tifatini venivano dei rimbombi che parevano echi ed eranobattaglia. E ben prestosul versante opposto a quello per cui salivamoavremmoscoperto il campo di Bixio. Al tuonar dei cannoni pareva ch'egliindietreggiasse. Ma arrivati alfine in cimaallora che vista! Giù giù per ipendii a sinistrasul gran pontesotto ed oltreun formicolìo di rosso franembi di fumo e delle grida che parevano di centomila. Più basso delle tintenere che s'allontanavano; borbonici vintipassi amari di fuga. Nello stradonefuor del tiro dei nostri più avanzatistava serrato un grosso squadrone dicavalli; due cannoni da lontano lanciavano ancora delle granate qua e làcontro di noi; tiri da Parti.

Bixiotornava indietro e il suo sguardo diceva: Vittoria! - Cosa siete voi? - domandòal Capitano Novaria. E Novaria: - Gente della brigata Eber. - Correte per di làsu Vallee fate presto: mettetevi agli ordini del colonnello Dezza.

 

 

1°ottobre. 3 pomeridiane.

 

Lamia dolce terra delle Langhequasi sconosciuta all'Italial'ho sentitavistagoduta un momentoquicosì lontanosu questi greppi di Monte Calvo.

Passavoattraverso quelle vepraie lassùper quel sentieruolo dove non passò forse maipersona buona ad altro che a patiresudare e pregare. E mi saltò fuori come disottoterra un ufficiale tutto sanguinante in faccia e lacero la camiciacon unmozzicone di sciabola in mano. Mi chiamò: O tudove vai? - Alla mia compagniasopra Valle. - E da dove vieni? - Dal quartier generale. - E Bixio? - Trionfa! -Con queste e poche altre parolemi parve di parlare con uno delle mie parti. -E tuchi sei? domandai già pieno di gioia per quell'incontro con un miocompatriotain camicia rossa: - Io sono Sclavo di Lesegno. - Ed io il tale. - Eallora ci abbracciammoci baciammo. Non ho mai compreso il paese natio come inquel momento. Le nostre Bormideil nostro Tanarole nostre belle montagnequei borghiquelle terriccioledove c'è della gente così modestabuonacontenta di pocoe semplice! Poi mi narrò come si trovasse làcosì solo emaltrattato. Poche ore primain uno degli ultimi assaltirimasto in mano deiBavaresiquesti se lo trascinavano via caricandolo di oltraggi; ma gli erariuscito di liberarsie se ne tornava a quel modo per imbattersi in me suopaesano. Eppure forse non gli passò per la mente che io potrò dir le sue lodinelle nostre vallate.

 

 

Versosera.

 

Si principiaad aver delle notiziema vaghe. Non si ode più il cannone. A Santa MariaaSant'Angeloa San Leuciosu tutta la lineavittoriadopo dieci ore dibattaglia. Quaa sinistratra quelle gole di Castel Morroneil maggiorBronzetticon un mezzo battaglionetenne la stretta contro i borboniciseivolte più numerosi dei suoi. Morìmorironoma il nemico non poté passare. -Ora come si devono sentire uomini quelli che hanno fatto tantoe si mettono agiacere per un po' di riposo! Ma chi sa dove sono andate l'anime dei nostrimorti? Come si farebbe a credere che esse non siano piùpiùassolutamente più?Vero è che sul campo la morte non par nemmeno morte! - Qui è proprio untrapasso.

 

 

SopraValle. 2 ottobre. Mattino.

 

«Mafinita la battagliaallora avresti veduto quanta audacia e quanta forzad'animo...». A chi faremo l'onore delle parole di Sallustio? Ci sono deiBavaresi saliti a morire fin sulla vetta di Monte Caroin mezzo ai nostri; visono dei garibaldini che rovinaronoinseguendo a farsi ammazzarefin quasilaggiù alle case di Valle. Questi morti bavaresi che giacciono nelle lorodivise grigiesono ancora pieni di ferocia nelle faccie mute. Omaccioniquadratinon più giovanissimialcuni con delle grinze. Le loro fiaschettechi le toccasono ancora mezze d'acquavite. Dovevano aver mangiato e bevutobenepoche ore prima di venir alla battagliacontro i nostri quasi digiuni.Lassùproprio sul cocuzzolo di Monte Caroun d'essi trovò un piccolorecintofatto d'un muricciuolo a seccoforse per giocoda pastorelli. Egli visi mise dentro e non ci fu più verso a scacciarloneppur quandofuggiti isuoirimase solo. Lo dovettero finire come una belva in rabbiaperché di làdentro avventava baionettate tremende. Nel suo libretto si trovò che egli sichiamava Stolzdi non so qual paesello della Baviera. Chi sa? Egli si saràcreduto di salvaresu quel cocuzzolo eccelsoil trono della bella Sofiafiglia dei suoi Revenuta dal suo paese a regnar qui nella dolce terrad'Italia. Tranquillo com'uno che ha compito tutti i suoi doveriora giace sullaparte del cuore e par che dormao guati di sottecchi e ascolti. A vederlo c'èuna processione. Ebbeneè ancora una gran fortuna finir cosìpiuttosto chedi vecchiaia in un lettoforse sulla pagliadopo aver fatto patir chi saquanti! E piace vedere che tutti lo guardano con rispettodolendosi soltanto ditanto valore sprecato.

Mastanottein sentinella a quattro passi dal mortoun siciliano di Bivonaquasifanciullo ancoranobile di non so che gradochiamava ogni tanto: Caporale!faceva una voce che pareva gli uscisse dal recesso di tutti i dolori. E ilcaporale correva. Cos'era? Nulla. Ma un'ultima volta il caporale compreseperchéil giovinetto tremava e guardava quel morto là a quattro passi. - «Ah! Haipaura di lui?» - «Caporalesì!».

Fantasia!

 

** *

 

Ierivisitai ad uno ad uno i piccolissimi altipiani che si digradano giù pel montedove un centinaio e mezzo d'uomini del Boldrini contesero il passo ai duebattaglioni di Bavaresi che assalivano da Valle. E li trattennero tanto chepoterono arrivarema un pugnoquei di Menotti. Non bastavano. Boldrini eraferitoferiti e morti molti ufficiali; dunque si doveva perdere una posizionecosì forte? AvantiMenottiavanti Taddei! Colonnello Dezzaguai se il nemicospunta quest'ala. Si caccia tra Villa Gualtieri e Casertain un'ora è nelpianoe getta per tutta la Terra di Lavoro il grido della riscossa borbonicaalle spalle dei nostri che combattono sul Volturnoe in faccia a Napoli che dalungi aspetta... Chi sa? Oggi può rimorir l'Italia!

Chegloria di picciottiin quel momento! Due mesi fa erano riottosi a imbarcarsipel continente: pareva che non avessero idea d'altra Italiafuori del triangolodella loro isola: ma marciando per la Calabria trovarono i loro cuoriqui sison fatti ammirare. Caricarono come veterani!

Giùsugli altipianitra i pochi alberi tristi che non possono sbozzacchire inqueste sassaiequante camicie rosse che non si mossero più! Ne contai unaventina qua e làqualcuno si riconosceva ai tratti mezzo moreschipervolontario del Vallo di Mazzaradove Bixio passò e raccolse gente. Ma vi sonodelle testine bionde di settentrionali che paiono di fanciulle. Mi fermai vicinoa un morto che avrà avuto sedici annie parlando per lui e per megli dissidelle cose che se le sapessi scrivere sarebbero un capolavoro. Dalla bisacciagli usciva un pezzo di biscotto.

Ododire che i perduti furono moltie che gli ufficialitra feriti e mortipassarono la ventinasolo quisu così poco spazioe con sì pochi soldati. Oallora a Villa Gualtierial Ponteal Molinoe via poi sulla lunghissimalineasino all'ultima sinistra nostrafronte di tante migliacurva strana cosìche Maddaloni è l'estrema destra e insieme stava alle spalle di quei checombattevano sul Volturno? - Quando se ne saprà il numero vero sarà un pianto.

 

 

2ottobre verso le 11 antim.

 

Grancaccia da Reveduta da questo cocuzzolo di Monte Caro! Un nugolo di borboniciforse quelli che ieri dovettero passare sul petto di Bronzettisi vannoaggirando di qua e di làdi su di giùper quelle alture di Caserta Vecchiae pare che non sappiano dove andare a dar del capo. Ma da tutte le parti spuntail rosso dei nostri e fa cerchio. Quelli si raccolgonoforse vogliono piantarsie difendersi tra quelle rovine che danno al paesaggio quel tono lamentoso digrandezza morta e di desiderio. Cosa valgono quelle schioppettate? Tra momentici arriva anche Bixio. Se ne vede di qui la fila lunga su pel montee la testatocca già l'altipiano. Partendo di qui disse ai suoi: Non mangerete finchécoloro là non saran presi. - Pare che i borbonici si siano accorti di lui: c'èun poco di scompiglio... un loro cavallo parte; corretorna; ora hanno la viarotta anche alle spalle. Si movonovanno verso Sant'Angelo: retrocedono... oradiscendono verso Caserta nuova; norimontano... Bandiera bianca! Che sensoquest'urlo che riempie tutta l'aria colà! Pare un fremito della terratutto simuove... i nostri corrono da tutte le parti... Un gran silenzio...

Si sonoarresi!

 

 

3ottobre.

 

Aspettae aspettai vinti di ieri l'altro non son più tornati. Così avessimo avutodella cavalleria da lanciar sulle lor codeche si poteva farlo senza crudeltà.Erano tutti stranieri del soldo. Ma quei di ieri presi a Caserta Vecchia eranoitalianiproprio della colonna che s'azzuffò con Bronzetti a Castelmorrone enon potè passare. Guai se riusciva!

 

 

4ottobre.

 

IeriTelesforo che vive divorando tutto con l'animaforse perché sente d'aver lamorte dentrovenne da Santa Maria a trovarmi qui e mi disse: - Vieni? - Dove? -A veder cosa c'e In co del ponte presso a Benevento- Andiamo pure.

Eraquasi notte. Discesi da Monte Caropassammo per quella bicocca di Vallediecicasacce che parevano vecchie cenciose. Ma ieri l'altromentre i borbonicivenivano alla battagliale donne di quelle case urlavano dalle finestre comeFurie: Viva lo Ree morte.... si saa noi. Dice che si udivano sin da mezzo ilmontee che le loro grida facevano più senso che l'avanzarsi dei battaglioni.

Viaper la strada grande andammoandammoandammo. Ma insomma dov'è questo ponte?Sempre un po' fanciullisi crede che tutto sia lì a due passi; ma Beneventoera molto lontano. Non incontrammo anima viva; solo a trattinei campi lungo laviasi vedevano dei mortiforse soldati feriti ieri l'altropoi spirati travia e gettati dai carri.

Ilponte non si trovava. - «Pure andando ancorapiù quapiù là si dovrebbeudir l'acqua... Vorrei vederla passareal lume delle stellesentir il pontesotto i nostri piedilasciar cadere una pietra dalla spalletta di essoeimmaginarmi d'essere un soldato angioinoe che là sotto giacesse Manfredi. Perme l'anticoquel che non è più è tutto. Quello che vive è nulla. Io stessomi sento nulla; e se Garibaldi non fosse un'antichità non lo avrei seguito». -Così diceva Telesforo e m'attristava.

Inquel momento udimmo un trotto di cavalli che venivano dal Volturno. Ci siamo!Saranno scopritori borbonicidiscendiamo nei campi. Passarono veloci trecavalierie allora venne anche a me il soffio dell'antichità. Mi corsero perla mente quelli mandati da Carlo d'Angiòsulle peste di Manfredicredutofuggitivo dalla battaglia: ma i vivi erano delle nostre Guidegioventù arditafin temeraria. Andarono parlando allegramente lombardo. E noitornati sullastradatirammo avanti ancora un bel tratto fantasticando. - «Manfredi? Carlod'Angiò? - seguitava Telesforo. - Il Re d'ora sìè un Re da fuga! Ieril'altro Francesco era in mezzo al suoi trentamila soldati: poteva mettersi allatesta di un migliaio di cavallitentar un punto della nostra linearomperepassaregaloppare a Napolitrionfarvi! O cosìo rimaner ammazzatopassatofuor fuori da uno dei più valorosi nostriper esempio da Nullo. Non seppe farené l'una né l'altra cosae così è finito. Quanto a Carlo d'Angiòoraviene Vittorio Emanuele. Seicento anni tra loro: e invece d'un Papa che dica:Vapigliati il Regno; v'è Garibaldi che dice: Venite! Vorrei vederli quandos'incontreranno Dittatore e Re».

Tornammoragionando come due frati; ma ogni tanto Telesforo tossiva e diceva d'averfreddo. Con quel suo mantelluccio si stringeva le spallee se ne teneva i lembinelle mani sul petto. Quando ci trovammo tra le nostre sentinelle pareva giàl'alba. Dei focherelli morivano su pei greppi di Monte Caro e della VillaGualtieri; le camicie rosse nel grigio delle sassaienel verde ferrigno degliolivi mettevano un rilievouna vitaquasi dei sentimenti. Sul ponte delVanvitelli passavano delle file rossequete quete alloraandando forse acambiar le guardie; ma lassù a un certo momento della battaglia s'eranoincontrati i bavaresi e i nostri e da quell'altezza n'eran caduti. Dio! faraccapriccio dirlo. E pensare che ieri l'altroa quell'orail mio caroTraverso si svegliava baldoe baldi come lui si svegliavano l'altro Traverso elo Stellatutti e tre di Marsalae che prima del mezzodì eran morti enell'eternitàgià antichi come i più antichi defunti!

 

 

Caserta7 ottobre 1860.

 

Dissiall'amico Sclavo: tuquello che vedesti ai Ponti della Valleme l'hai dascrivere quitra le mie note. Egli prese il taccuino e scrisse.

«Garibalditre o quattro giorni prima del fatto d'armiera venuto a trovar Bixio e gliaveva detto: Mi fido a voi; queste sono le nostre Termopili.

«Talefu la consegna: tutti sapevamo che là si doveva stare o morire. Aspettavamo.

«Ilmattino del 13 d'ottobreeccoti la divisione von Meckelotto o nove milauominiavanzarsi da Ducentamirando al passo dei Ponti della Valle perMaddaloni. La testa della colonna era formata da uno squadrone di dragoni conelmo e rivolte rosse; seguivano due cannoni e un battaglione di cacciatori.Giunta a Valle quella testa di colonna spiegò i cacciatori sulla sua destraequesti cominciarono a tentar l'altura dov'ero con la mia compagnia. Tiravano dasettecento metrilentamentecon quelle loro buone carabinealle quali noi nonpotevamo rispondere. Intanto il grosso della colonna continuava a marciareaccennando ai Ponticentro della nostra linea.

«Mandaisubito certo Calogero messineseche avevo meco per guidaavvisando con unbiglietto il maggior Boldrini che eravamo assaliti. Ebbi in risposta che badassibene a non prendere lucciole per lanterne. E male ce ne incolseperché quelbattaglione di cacciatori già invadeva il bosco a sinistra e cominciava adavvolgerci incalzando con fuoco ben nutrito.

«Allorail maggiore Boldrini volò a noi con due compagniee senz'altro dove videspuntar le canne dei fucilitra gli alberi fittilà si slanciògridando:Alla baionettaViva l'Italia!

«Nonaveva ancor detto che già una palla entrata nel petto gli usciva per la scapoladestra. Cercai di sorreggerlo e di tirarlo viagiacché il nemico irrompeva dalbosco e dovevamo ritirarcima egli non vollemi respinse. - Lasciatemicheormai sono un uomo inutile! - Dissecosie dove cadde rimase. Noiindietreggiammo sopraffattie poi tornammo rinforzati da una cinquantina dibersaglieri Menotti. Guardai; il povero maggior Boldrini non v'era più. Seppipoi che i Bavaresi lo avevano trascinato testa e piedi giù per i dirupisino aValledove lo abbandonaronoe fu poi raccolto morente dai nostridopo lavittoria.

«Cadderoin quel nostro ritorno molti dei nostrimorti e ferititra gli altriEvangelisti e Carbonegenovesi dei vostri di Marsala. Ma non era ancor nullaeravamo appena al principio. Sai come il tempo vola. Continuavano gli assalti.Verso le undicio poco dopoecco i Bavaresi sulla posizione di Menotti.Cominciavano ad avvolgere il poggio della Siepecontrafforte di Monte Caro.Quivi li ricevevano a schioppettate e a baionettatee li rintuzzavano lecompagnie di Bedeschini e di Meneghettidirette da Dezza e da Menotti e daaltri ufficiali che in quel momento facevano da capi e da soldati.

«Intantoaltri Bavaresi apparivano sulla vetta del monte Calvo e vi si piantavanoe sivedeva che volevano postarvi due cannoni da montagnaper coprir di granate e dimitraglia noi più bassi e da quella posizione spingere forse qualche colonnaalle spalle di Bixio. Sarebbe bastata ben poca gente a tagliargli lecomunicazioni col quartier generale di Casertae a portar l'incendio borboniconella Terra di Lavoro. Era un momento angoscioso. Tuttianche i meno espertiindovinavano il gran pericolo.

«Maecco spuntare lassù un battaglione: Son nostri? - son nostri! - Improvvisodrittomarcia verso il cocuzzolo di monte Calvo. Maraviglioso! Il Comandante sivedeva dinanzi a tutticol berretto in cima alla spadae pareva di sentirlogridare; gli altri correvano dietro a luiper quell'ertaa gran passiserrati.

«EraTaddei!

«Quelfarequell'affrontoimpone ai Bavaresi che oscillano un momentoma sidifendonoresistonouccidono: poi si romponoabbandonano la posizioneimortii feriti e fuggono in rotta.

«Noicombattendo giùvedevamo e ammiravamo quei vincitori lassùe guardavamo purel'attacco che in quel momento faceva la grossaserrata colonna borbonica delcentroai Ponti della Valledov'era Bixio coi picciotti. Era una cosa da fartremare. Se romponodicevamo noise passano sul corpo di Bixioquelli staseraentrano in Napolie ricomincia l'orgia del 1799. Li vedevamo a mezza falda trail piano e i muriccioli a secco della via trasversale che si allinea conl'acquedotto; e dietro quei muriccioli rosseggiavano i nostri quatti quattisenza far fuocoincantati. Noi pativamofremevamo; udii sin bestemmiare: Cosafanno? Ma quando i borbonici arrivarono quasi al ciglio di quei muriccioliallora quelle camicie rosse scoppiarono49 e su quelle teste di colonna sirovesciò un torrenteun uragano... urla ferocibaionettate. Si gelavasiinfuocava il sangue a vedere. - I borbonici non ebbero agio né spazio dispiegarsie si volsero in fuga una sezione sull'altraviaviarovinandoetutta la colonna scompigliata fuggiva alla meglio verso Valle.

«Didove eravamo noi si dominava lo spettacoloe si capiva che l'anima di tuttaquella massa eroica di picciotti era l'anima di Bixio. Dunque Bixio e Taddeieroi!

«Laserane contammo di morti! Ma le più gravi perdite le sofferse il miobattaglione. Morì Innocenzo Stellacolpito nella testa da una pallafuronoferiti Herteranch'eglicome Stellavostro di Marsalae Rambosio e Rugerone.Povero Rugerone! Colpito nel ventre da una scheggia di granata che gli uscì perla schienalo trovarono la sera in un burronelo trasportarono a VillaGualtieridolorò diciotto oree alla fine la morte lo liberò. AntonioTraversodella mia compagniaandò a morirenon si sa comenel boschettopresso il battaglione Menottidove io lo trovai l'indomani mattinatrapassatoil petto da una pallacon un fazzoletto bianco alla boccatutto insanguinato.Delle tre compagnie Boldrinisoltanto una ventina d'uomini col tenente Baronidi Lovereferito nel caposi unirono alla sera a Menottie servirono ariformare il battaglione disfatto».

Eccoquel che l'amico scrisse.

 

 

Caserta8 ottobre.

 

Inomi non li scriverei neanche se li sapessi. E non ne domando. Li ricorderannopurtroppo quelli che videroe per tutta la vita li udiranno nell'animacomefurono detti dalla voce tremenda del Dittatore.

Nelprimo cortile a sinistra di chi entra nel palazzo realei battaglioni diTaddeiPivaSpinazziMenottiBoldrini col resto della Divisione Bixioaspettavano Garibaldiche voleva salutarli per la loro vittoria di Maddaloni.Quattro schieredavano le fronti ciascuna a un lato del cortile.

-Microscopica Divisionefronte indietro! - gridò Bixio ai battaglionie non èmica uomo da aver detto per celia. Quei battaglioni si chiamavano Divisioneprima del combattimentocosìforse per far la voce grossama non era neppuruna brigata: ora si potrebbero dir compagnie.

Entravaallora Garibaldi. Teneva in mano il cappello all'ungheresee appena fu in mezzoal quadratoparlò:

-Eroi della diciottesima Divisionein nome dell'Italia io vi ringrazio!

Pochealtre coseorazion piccolacome sa far luipoi subito i nomi di quelli che sisegnalarono nel combattimento. Pareva che là dentro l'aria lampeggiasse digloria. Ma poi il volto di Garibaldi si oscuròe la sua voce divenne fiotto ditempesta.

-Ora che ho ricompensato i valorosipunirò i vili!

Fuun fremito. Tre ufficialichiamati a nome in mezzo a quel quadratouscironodalle filetrovarono la forza di far quei pochi passi senza cader fulminati; elàsotto gli occhi di Luifurono spogliati delle loro insegne da un Aiutantemaggiore. E non morirono! Finito quello strazioil Generalecontinuando comeuno che dà un addio a gente mortadisse:

-Andateinginocchiatevi davanti al vostro Comandantepregando di darvi unoschioppoe al primo incontro morite!

 

 

Nelconvento di Santa Lucia. 9 d'ottobre.

 

ANapoli? C'è troppa gente che briga. Non andare a farti levar la poesia; staquifilibustiere; per noi son buone queste celle di frati; cosa vuoi di più?

Iodo molto retta al capitano Piccininisebbene abbia soltanto otto o nove anni piùdi me: anzi gli sto sotto come se fosse il gran Nicolò in persona. Ieri l'altrolo trovai sotto

quell'ulivoallegro e raggiante tantoche mi parve d'indovinare la visione che avevadinanzi agli occhi. Egli leggeva una lettera a mezza vocee appena mi vide mivenne incontro dicendo: - Le mie montagne ridonomio padre le riempie della suagioia. Sa che suo figliuolo Daniele è capitano!

Eallora la voce gli si fece soavissimae negli occhi lucenti gli si disfecerodue lacrime. Poi mi abbracciò. E contro quel petto mi sentii come un'ombra. Cherespiro largo e che colpi di cuore! Per essere puri e prodi come luibisognerebbe avere quel petto. E poi la sua modestia! Che seccatureper luicerte cose! Ieria Casertaera da Garibaldimentre alcuni ufficiali dellamarineria americana entravano a visitare il Washington d'Italia. - Ecco ilmodello de' miei ufficiali: disse il Generale mostrando il Piccinini a queimarinai. - Non si darebbe la vita per una mezza parola di questedetta da Lui?Eppure il Piccinini quasi quasi usciva mortificato. Ma già; egli non sad'essere quello che tra tutti somiglia di più a Garibaldi. Semplice come Luibellobuono e fiero come Lui: saprebbe anch'egli vivere nel desertocrearsi unmondoe dimenticare questo degli uomini. Mi pare già di vederlo. Quando tuttosarà finitoin quattro o cinque passiegli tornerà alle sue Alpinellasolitudine della sua Pradalunga. E se gli diranno: Ebbene? Egli risponderà comese venisse da far una passeggiata. Ma a suo padreoh! a suo padre narreràtutto.

 

 

13d'ottobre.

 

NulloZasioMarioCaldesicon una diecina di Guide comandate dal nostro Candianiieri partirono alla testa d'un battaglioneper luoghi lontaniche son di làdal Volturnochi sa quantodov'è il Sannioil tremendo Sannio. Nullo ilbraccioZasio la bellezzaMario il pensieroCaldesi la bontà. C'è tutto. Macosa vanno a fare? Chi dice che a incontrar Vittorio Emanuelechi che a sedaruna rivolta. A me par gente che va nel buio.

 

 

14d'ottobre.

 

Orasono proprio contento. Ho veduto l'uomo che per la semplice vita è forse ancorpiù intero di Garibaldi. Faccia quasi giovanile a settant'annipersonaquadrata che né fatichené stentiné rovine d'ogni sorta non poteronofiaccare: berrettosoprabitocalzonitutto nero e assai vecchionulla disoldatesco. Ecco il general Avezzana. Tale fu forse il Vicario di Wakefield. Èdi quella tribù d'uomini che vanno avanticon lo sguardo sempre fisso in certipunti lontaniche il mondo non vedrà mai. Eppure per essi quell'ideale lassùlassùè realtà di vita interiore. Quanto all'esteriore e presentesono comeil Figlio dell'uomo che non sapeva dove posar il capo per dormire. Da mangiaren'avranno domani anch'essipoiché n'hanno gli uccelli dell'aria. Per oggibasta fare il bene. E così ogni giorno. Sui laghi di Galileaquando vifiorivano le parabole di Gesùgli uomini dovevano essere tutti come Avezzana.Vederlo con qual noncuranza cinge quella spada d'onore che gli fu datachi saper qual gloria delle tante sue d'America! Dicono che arrivò appunto di làintempo per correre a Casertaincontrar Garibaldi nel momento più vivo dellabattaglia sul Volturnosalutarlo e entrar a combattere. Aver cercato continentie mariandando randagidalla giovinezza alla vecchiezza; aver amatocredutogiurato di far l'Italia prima di morire; essersi raggiunti in un giorno dibattaglia come quella del Volturnol'uno già ministro della guerra in Romal'altro allora sotto di lui e ora Dittatore qui; cosa mi parlano della vecchiaCavalleria? Questa è storia romanama di quella anticaantica...

 

 

15d'ottobre.

 

Stamattina s'ebbeun gran fatto. Per la prima voltai soldati di Vittorio Emanuele combatteronodavvero a canto dei Volontari di Garibaldi. Dico davveroperché già il dued'ottobre quel battaglione della brigata Re che avevamo lasciato nella piazzadel palazzo reale il giorno avantifu adoperato con pochi bersaglieri a farprigioniera quella tal Colonna borbonica di Caserta Vecchia. Ma quello fu unfatto senza poesia. Invecestamattinai borbonici uscirono da Capuabaldanzosimarciando verso Sant'Angelodove trovarono i bersaglieri e lafanteria regolare che li soffiarono via come pagliuzze. Gareggiarono con essi ivolontari del colonnello Cortea chi facesse meglio; così la voglia d'uscir diCapua i borbonici potranno averla; ma l'ardimento forse mai più.

 

 

20d'ottobre.

 

PettoranoCarpinoneIserniameritereste che su voi non venisse più né pioggia nérugiadafin che durerà la memoria dei nostriingannati e messi in caccia euccisi pel vostri campi e pei vostri boschi!

Tornanogli avanzi della colonna di Nullo; non si regge ai loro racconti; non sanno direche mortimortimorti! Par loro d'avere ancora intorno l'orgia di villanidisoldatidi frati che uccidevano al grido di Viva Francesco secondo e VivaMaria.

PoveroBettoni! La sua Soresina non lo vedrà più. Se ne veniva indietro ferito sud'una carrozza; cavalcavano a' suoi lati Lavagnolo e Moropensando di poterloporre in salvo a Boianoe tornar poi a spron battuto dove Nullo combattevae inostri morivano qualàa gruppida solisbigottiti dalle grida selvaggie.Poveri cavalieri! Il giorno appresso il tenente Candiani li trovò morti sullavia. Ah! quel Sannioquel Sannio! Mi sento passar sul viso un soffio gelatocome quel giorno che la spedizione partì: sin d'allora mi suonò nella memoriail nome delle Forche Caudine.

 

 

25d'ottobre.

 

Sopraqueste contrade deve essere passato non so che spirito. Gli abitantiingrandiscono o impiccoliscono le cose per vezzo di dire. Il Volturnus celer èancora sonante come nei versi di Lucanouna maestà d'acque verdiches'incalzano clamorose. Eppure a un guado di esso fu dato il nome di Scafa diFormicola. Quando vi passammo si rise del nomicino strano; sebbene si mettesseil piede sul ponte di barche che il Dittatore fe' gettare dal colonnello Bordonein quel luogo; e sentirsi oscillar sottocrescerescemare quelle tavole malconnessedesse sgomento. Eravamo noi di Eberquei di Bixio quei di Medicilabrigata Milano; e vengono pure gli Inglesi della legionegente bellavestitacome noi; camicia rossadivise verdi ma di panno finissimocinture lucide comese tornassero dall'India.

Ilgiorno è nefasto.

Caddeil cavallo del generale Bixioe l'eroerotta la testa e una gambasi lasciòtrasportare a Napoliguardandoci con invidia. Non è che un uomoma senza luipar che manchi qualcosa nell'aria.

 

** *

 

Cisiamo accampati sull'orlo d'un bosco in cui potrebbe cavalcare Angelicafuggente; eppure lo chiamano Caianellocome se fosse un cesto di granetto fattonascere per ornare il Presepio.

Intantoche ci siamo venuti a fare? Là c'è Capua. i Calabresi che abbiamotrovato quici dicono che i borbonici fanno delle apparizioni in quei fondilaggiù. A destralontanoabbiamo Gaeta. Quelli devono essere i monti di cuimi parlava il vecchio Colomboquando raccontava d'essere statonell'ottocentocinqueall'assedio fatto da Massena. E mentre io penso a lui chefu pure soldato della legione di Garibaldi in Americaegli parla forse diquesti luoghi con mio padreche glie ne domanderà chi sa con qual cuore.

Oh!io vorrei esser quel falcogettarmi da un capo all'altro del cielomandandostrida per l'aria che imbruna! Ora a quella campana...! Di dove suona? «Era giàl'ora che volge il desio...».

 

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Chidice che siam qui per dare l'ultima battagliae che mentre combatteremo controi cinquantamila borbonici che ancor tengono per Francesco secondoarriveranno isoldati di Vittorio Emanuele con lui in personadiscendendo dall'Abruzzo per lavia di Venafro. Chi ribatte che da Venafro potrebbero venire delle buone anforedi vinodi quello antico che piaceva a Orazima che battaglie di campodopoquella del primo d'ottobrenon se ne possono più avere. Allora si marcieràper incontrare il Re!


 

[L'INCONTRODI TEANO]

 

 

26d'ottobre.

 

Nonlo dimenticherò maivivessi mille annima non saprò mai ridirlo precisoe lucidocome mi guizzò nella menteil pensiero che già ebbe Catoniconversando con mequella notte làvagabondiper la campagna oltreMaddaloni. Sono quasi seicento anniCarlo d'Angiò veniva in qua da Romasegnato e benedetto dal Papae si pigliava la corona di Manfreditra i mortidi Benevento. Il papa gliela aveva datapurché se la fosse venuta a prendere.Ma oggi un popolanovaloroso come... cos'importa dirlo? un popolano generosocome non sarà mai nessunosemplice come Curio Dentatodelicato come Sertorioanche fantastico come lui e sprezzatore come Scipionein nome del popolostrappa quella corona al re di Napoli e dice a Vittorio Emanuele: È tua! -

 

** *

 

Hoquasi un capogiro. Sono ancora pieno di quel che ho vedutescrivo...

Unacasa bianca a un gran biviodei cavalieri rossi e dei neri mescolati insiemeil Dittatore a piedi; delle pioppe già pallide che lasciavano venir giù lefoglie mortesopra i reggimenti regolari che marciavano verso Teanoi vivisotto gli occhie nella mente i grandi mortii romani della seconda guerracivileSillaSertorioche si incontrarono appunto quifigure giganteschecome quei monti del Sannio làe che forse non erano nulla più di qualcuna diquelle che vedo vive. Cosa ci vorrebbe a fare lo scoppio d'una guerra civile?

Aun trattonon da lontanoun rullo di tamburipoi la fanfara reale delPiemontee tutti a cavallo! In quel momentoun contadinomezzo vestito dipellisi volse ai monti di Venafroe con la mano alle sopraccigliafissòl'occhio forse a legger l'ora in qualche ombra di rupi lontane. Ed ecco unrimescolio nel polverone che si alzava laggiùpoi un galoppodei comandiepoi: Viva! Viva! Il Re! Il Re!

Mivenne quasi buio per un istante; ma potei vedere Garibaldi e Vittorio darsi lamanoe udire il saluto immortale: «Salute al re d'Italia!». Eravamo a mezzamattinata. Il Dittatore parlava a fronte scopertail Re stazzonava il collo delsuo bellissimo storno. Forse nella mente del Generale passava un pensiero mesto.E mesto davvero mi pareva quando il Re spronò viaed Egli si mise allasinistra di luie dietro di loro la diversa e numerosa cavalcata. Ma Seidilsuo cavallo che lo portò nella guerrasentiva forse in groppa meno forte illeone e sbuffavae si lanciava di latocome avesse voluto portarlo neldesertonelle Pampaslontano da quel trionfo di grandi.

 

 

Sparanise27 ottobre.

 

Maallorase così fosse come si susurraogni cosa sarebbe spiegata! Re Vittoriofu freddo nell'incontro con Garibaldi? Gli è che Francesco secondo è suocuginoe che egli lo aveva invitato alla gran guerra contro i nemici d'Italiaammonendolo. Anche si aggiunge che esista una lettera. Francesco non volle o nonpoté dargli ascolto. Fortuna d'Italia! Ostinato e impotente continuò la storiadi suo padree ora paga per lui.

Dunque certocontegno di Vittorio Emanuele nell'incontrarsi col Dittatore sarebbe stato undelicato riserbo? O han ragione quelli che pensano che allora egli meditasse lestrane sorti dei Re? Però noto che questi sono discorsi: passano comeventicelli che non lascian nulla. Non si sente che la grandezza di Garibaldisinora! non si conosce che vi sia chi mira il sole nascente.

 

** *

 

Ieriil Dittatore non andò a colazione col Re. Disse di averla già fatta. Ma poimangiò pane e cacio conversando nel portico d'una chiesettacircondato daisuoi amicimestoraccoltorassegnato. A che rassegnato? Ora si ripasserà ilVolturnosi ritornerà nei nostri campi o chi sa dove; certo non saremo piùalla testaci metteranno alla coda. Dicono che il Generale lo disse a Mario. Equesta deve essere la spina del suo gran cuore che voleva un milione di fucilida dare all'Italiae l'Italia non diede che ventimila volontari a lui.

 

 

Napoli2 novembre.

 

Tuonalontano il cannone. Bombardano Capuae noi non vi siamo più. Gli artiglieri diVittorio Emanuele non avranno gran da fareperché la guarnigione non aspettache un motivo onestoper arrendersi. Già il Griziotticolonnello nostroloaveva detto: - Generalelasciatemi lanciar due bombe sulla cittadellae siarrenderà. - Nose un fanciullouna donnaun vecchio morisse per una bombalanciata dal nostro camponon avrei più pace! disse Garibaldi. - E Griziotti:- Ma i nostri giovani si consumano di febbri in questo assedio: ogni giorno siassottiglianomuoiono. - E Garibaldi a lui: - Ci siamo venuti anche a morire. -Arriveranno i PiemontesiGenerale; essi non avranno riguardi; con poche bombefaranno arrendersi la cittàpoi diranno che tutto quello che facemmo sino adorasenza di loro non avrebbe contato nulla. - Garibaldi allora: - Lasciate chedicano; non siamo mica venuti per la gloria!...

 

 

Napoli3 novembre.

 

Ilgiorno dei Santipoi quello dei Mortipoi quello delle medaglie a noiterzafesta nella malinconia della stagione.

Làin faccia alla reggiadove tutto dice che i Borboni non torneranno piùlapiazza di San Francesco di Paola era parata di bandiere. In mezzoun seggiodelle damedei generalidei grandi intorno al Dittatore che ancora aveva ilcappello di Marsala. Vidi il Cariniora generalebaliosoringiovanitocolbraccio al collopareva felice. La legione ungherese faceva scorta d'onoreevi erano i Granatieri schierati che facevano scorta anch'essi. Noi davamo lespalle alla Reggiaaspettando. A un certo Punto il Dittatore si alzòe venneverso noi dicendo con la sua voce limpida ed alta: - Soldati della indipendenzaitalianaVeterani benché giovani dell'esercito liberatorevi consegno lemedaglie che il Municipio di Palermodecretò per voi. Comincieremo dai mortii nostri morti...

Eallora un ufficiale cominciò a chiamare a nome i morti che rispondevano in noicon l'improvviso ritorno della loro visione. Ma passato questo giorno nonsaranno ricordati solennemente mai più? Furono da cento nomi d'umili ignoti od'illustrie a ogni nome un fremito correva tutta la nostra fila. Meglio mortio vivi? Si diffondeva una malinconia cupa che pur pareva entusiasmo.

Quandotoccò a noisi andò chiamati ad uno ad uno dinanzi al seggiodove unagiovinettaalzandosi sulla punta dei piedici metteva la medaglia sul pettoeintanto guardava di sotto in su con due grandi occhi gioiosi. Chi fosse non soné chiesi di lei. Che giova il nome? Udii il Generale che volgendosi a una damavicino a luidiceva: - Vede? Quelle facce le conosco tuttele vedrò finchévivrò.

Intantole bande suonavanoe quella dei Granatieri pareva dicesse: Bastaora bastaandate!

 

 

Caserta9 novembre. Sera.

 

Oggiil Palazzo reale guatava il viale che gli si protende dinanzi lontano lontanoepare che voglia arrivare sino a Napoli; guatava le file dei battaglioni rossidistese sotto i grandi alberi immobili e cupi sotto il cielo basso. Dovevavenire il Re a passare in rassegna tutto l'esercito garibaldinoun dodicimilache stavamo con l'armi al piedein ordine di parata. Si aspettava! Il Resarebbe arrivato verso le duelo avrebbe annunziato il cannone. E intanto nellefile si parlavae passavano delle novelle bizzarremottiarguziecose dapoema e da commedia. Udii persino delle volgarità. Ma non v'era allegrezza.Anche le nuvolecalando sempre piùmettevano non so che freddoe l'orapassandoportava stanchezza. Certi Veneti del mio battaglione dicevanosottovoce che quando fosse passato il Resarebbe stato bello circondarlopigliarselomenarlo nei montie di là fargli dichiarar la guerra per Roma eVenezia. Che fossero visi da farlo? Alcuni sì; i più dicevano per dire. Ma nelpiù vivo di quei discorsi s'udirono le trombe dalla destra della lunga linea.Attenti... il Re!

Ibattaglioni si composerosi allinearonoi cuori battevanochi amavachi no.Poi venne giù una cavalleria trottando... Ah! quello che cavalcava alla testanon era il Re: era Lui col cappello ungheresecol mantello americanoe insiemea Lui tutte camicie rosse. Quel cappello calcato giù sulle sopracciglia segnavatempesta. Venneropassaronolasciando un grande sgomentoarrivarono in fondoal vialediedero di voltaripassarono come un turbinesparirono. E pocoappresso i battaglioni furono messi in colonna di plotoni.... pareva che sidovesse marciare a qualche sbaragliotutti si era pronti... Così si andòverso il Palazzo realea sfilare dinanzi al Dittatore piantato là sulla granportacome un monumento. E si sentiva che quella era l'ultima ora del suocomando. Veniva la voglia di andarsi a gettar a' suoi piedi gridando: Generaleperché non ci conducete tutti a morire? La via di Roma è làseminatela dellenostre ossa! - Ma la guerra civile? Ma la Francia?... L'anno scorso fummo cosìamici con la Francia!

Il Generalepallido come forse non fu visto maici guardava.S'indovinava che il pianto gli si rivolgeva indietro e gli allagava il cuore.Non so neppur uno di quelli che stavano vicino a lui. Che cosa contavano in quelmomento? Luilui solo: non vidi nulla. Ora odo dire che il Generale partechese ne va a Capreraa vivere come in un altro pianeta; e mi par che cominci atirar un vento di discordie tremende. Guardo gli amici. Questo vento ci piglieràtuttici mulinerà un pezzo come foglieandremo a cadere ciascuno sulla portadi casa nostra. Fossimo come foglie davveroma di quelle della Sibillaportasse ciascuna una parola: potessimo ancora raccoglierci a formar qualcosache avesse sensoun dì; povera carta! rimani pur bianca... Finiremo poi. . . .. . . . . . . . . . . .